Francesca Nodari
Desiderio e avvenire
Quando si parla del desiderio, è d’obbligo distinguerne la sua natura da quella del bisogno. Nel corso dell’intervento si cercherà di fare chiarezza su queste due nozioni che mettono capo, da un lato, al godimento del soggetto che si trova in una condizione semel paradisiaca, benché tutto preso da un brivido egoista che ne segna la solitudine e dall’altro al desiderio in cui, potremmo dire, si scorge il motore della temporalizzazione dell’‘io sono’ di carne e di sangue che, riconosce nella centralità dell’amore – intesa non tanto come fusione dei due ma come dualità – il «mistero d’altri», l’«evento stesso dell’avvenire», che è il fondo di eros. Per potersi «disingombrare» da sé, l’io sono è chiamato a decidersi-di-iniziare-qualcosa-con-se-stesso rinvenendo nel desiderio quel succedersi di sempre nuove «fami» che mai potranno essere saziate poiché Altri è proprio colui che mi convoca e mi invoca e sfugge sempre alla mia presa. Il desiderio è quel «prurito temporale» che fa segno all’asimmetria che v’è tra il Moi e l’Altro e in cui l’‘io sono’, nello «scollamento della sua volontà» si fa carico della responsabilità per altri usque ad mortem. Non si perviene, forse, ad una doppia significazione del désir: da un lato, l’esplicazione stessa del suo intendimento etimologico: un «rimpianto» di cui conservo il ricordo: «un movimento verso un profondo allora – “allora” non ancora abbastanza – mai coglibile – ma “un allora” insegnato», dall’altro l’evenire stesso del desiderium come fecondità non biologica dell’‘io sono’ incarnato sullo sfondo di una dialettica della salvezza? Del resto che cos’è la carezza se non un modo d’essere del soggetto, «forma concreta» della «speranza per il presente», «significato corporale del tempo»? «La carezza è l’attesa di questo avvenire puro. Essa è fatta di questa fame crescente, di promesse sempre più ricche, che dischiudono prospettive nuove sull’inafferrabile. Essa si alimenta di una fame che rinasce all’infinito».
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