“C'è un albero per ogni uomo che ha scelto il bene”
La Fondazione Filosofi lungo l’Oglio si adopera perché, in un’era di «conflittualità delle memorie», si attui la Memoria del Bene. Questo avviene anche in collaborazione con altre istituzioni e/o associazioni ed attraverso iniziative ad hoc.
Fondamentale per la Fondazione è sostenere il dialogo ebraico-cristiano, ispirandosi al magistrale esempio del cardinale Carlo Maria Martini, del Sign. Rabbino prof. Giuseppe Laras e di Gabriele Nissim, al quale la Fondazione riconosce il merito di avere ottenuto l’istituzionalizzazione della Giornata dei Giusti (che ricorre il 6 marzo di ogni anno) dal Parlamento Europeo il 10 maggio 2012, che anche la Fondazione Filosofi Lungo l’Oglio promuove. L’iniziativa è possibile, oltre che all’importante sostegno di variComuni, grazie alla stretta collaborazione con la Fondazione Gariwo - Gardens of the Righteous Worldwide.
LOGRATO
BRESCIA
Orzinuovi
BARBARIGA
2022
- Barbariga si onora Settimia Spizzichino instancabile testimone della Shoah e Vito Fiorino, soccorritore di 47 naufraghi nel 2013 a Lampedusa, presente alla commemorazione.
- Lograto si onorano le sorelle Andra e Tatiana Bucci, le sopravvissute ad Auschwitz.
- Brescia al Parco Tarello - dove gli alunni della Laba hanno realizzato un dipinto murale - si onorano i bresciani Oreste Ghidelli, deportato politico; Madre Angela Dusi, suora economa delle Orsoline che nella primavera 1944 nascosero nelle mura ecclesiastiche le quattro sorelline Silbermann; e Paolo De Benedetti, insigne biblista e protagonista del dialogo ebraico-cristiano.
2019
- Orzinuovi al Parco Alcide De Gasperi si onorano Vittorio Foa, antifascista, politico, saggista, membro del comitato scientifico della Fondazione Filosofi lungo l'Oglio e dell'associazione Gariwo, e i coniugi Giuseppe Gloriotti e Maria Colombi, che nella loro casa a Orzinuovi, nascosero la più piccola delle sorelle Silbermann, fuggite dalla Germania nazista.
- Bresciasi onorano il partigiano Astolfo Lunardi, fucilato il 6 febbraio del 1944 al poligono di Mompiano; il rabbino Giuseppe Laras, figlio della Shoah e figura chiave nella costruzione del dialogo ebraico-cristiano nel nostro Paese; i premi Nobel per la pace Lech Walesa e Nadia Murad.
- Barbariga si onorano Don Pino Puglisi, ucciso a Palermo dalla mafia per "silenziare" il suo costante impegno evangelico e sociale nel difficile quartiere di Brancaccio; e Don Giuseppe Potieri, sacerdote che nascose ebrei e collaborò con i partigiani, patendo la prigionia e rischiando la fucilazione.
2016
- Orzinuovi al Parco Alcide De gasperi si onorano tre donne: Giuliana Tedeschi, Edith Stein e Valeria Solesin
2015
- Orzinuovi si onorano Primo Levi (1919 – 1987) che visse in prima persona il dramma dei lager, non disgiungendo mai la volontà di capire dal desiderio di agire ed ebbe la forza di non far svanire la tragedia di cui fu testimone oculare e vittima trasponendolo mirabilmente nei suoi libri; Amneris Manenti (1922-2014), bresciana, che si è prodigata rischiando la propria vita e mettendo in pericolo quella dei suoi cari, per aiutare la famiglia Levi a sfuggire alla polizia fascista e alla deportazione nascondendo il padre e la madre in istituti religiosi in provincia, mentre il figlio fuggiva sulle colline diretto al passo dell’Aprica. La signora Amneris, con tenacia e coraggio, riuscì persino a raccogliere il denaro necessario alla famiglia, una volta ricongiuntasi ad Edolo, per attraversare il confine svizzero nella zona di Tirano. La fuga avvenne il 6 dicembre 1943. Dopo la liberazione Gianfranco Levi convolò a nozze proprio con chi gli salvò la vita; I sette monaci trappisti, tutti di nazionalità francese, sequestrati dal loro monastero presso Tibhirine, in Algeria, nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, e uccisi il 21 maggio seguente. Il sequestro fu rivendicato un mese dopo dal Gruppo Islamico Armato, che propose alla Francia uno scambio di prigionieri. Dopo inutili trattative, il 21 maggio dello stesso anno i terroristi annunciarono l'uccisione dei monaci, le cui teste furono ritrovate il 30 maggio; i corpi non furono, invece, mai ritrovati. Ecco i loro nomi: Christian de Chergé, 59 anni, monaco dal 1969, in Algeria dal 1971; Luc Dochier, 82 anni, monaco dal 1941, in Algeria dal 1947; Christophe Lebreton, 45 anni, monaco dal 1974, in Algeria dal 1987; Michel Fleury, 52 anni, monaco dal 1981, in Algeria dal 1985; Bruno Lemarchand, 66 anni, monaco dal 1981, in Algeria dal 1990; Célestin Ringeard, 62 anni, monaco dal 1983, in Algeria dal 1987; Paul Favre-Miville, 57 anni, 3 monaco dal 1984, in Algeria dal 1989. I sette monaci mai avevano smesso di portare il loro aiuto e il loro ascolto alla popolazione algerina aprendosi alla cultura e alla religione islamica in un Paese dove si moltiplicavano le intimidazioni e gli omicidi di giornalisti, cristiani, ebrei, curdi, civili. Essi sono la testimonianza di un’esistenza che «afferma la vita in un contesto dove si uccide». Sono la trascrizione incarnata dell’essere-decisi-per-il-dono, di un Amore più forte dell’odio; Armin Wegner (1886 – 1978), poeta e intellettuale tedesco, giusto e testimone di verità per gli armeni e per gli ebrei. Wegner fu testimone oculare del genocidio del popolo armeno, il primo del ventesimo secolo, perpetrato dal Governo dei Giovani Turchi nei deserti della Mesopotamia. Eludendo i divieti delle autorità turche e tedesche, ha scattato centinaia di fotografie nei campi dei deportati, documentando, anche con lettere e diari, la tragedia del popolo armeno. Nel 1933 fu l’unico intellettuale tedesco che ebbe il coraggio di denunciare la persecuzione degli ebrei in Germania in una lettera aperta al Führer. Wegner fu arrestato dalla Gestapo, imprigionato e torturato nei campi di concentramento nazisti. Dopo il suo rilascio, fu costretto all’esilio e si stabilì in Italia, continuando a impegnarsi nel suo ruolo di testimone di verità contro ogni forma di negazionismo.
2014
- Brescia si onorano Teresio Olivelli (1916-1945), Raphael Lemkin (1900-1959), Mons. Carlo Manziana (1902-1997), Etty Hillesum (1914-1943), Jan Patočka (1907-1977) e i coniugi Angelo Rizzini (1891-1980) e Caterina Rizzini (1891-1978); S. E., il Cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012) che ha fatto del dialogo, come sostiene uno dei suoi massimi studiosi Marco Garzonio, la parola chiave del suo ministero: dialogo con i terroristi, con le altre confessioni cristiane, con tutte le religioni, con il pensiero laico – basti richiamare l’istituzione della Cattedra dei non credenti – con l’uomo contemporaneo e con la scienza; Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) giovane teologo luterano, simbolo della resistenza tedesca contro il nazismo – celebri sono le sue lettere di prigionia raccolte nel volume Resistenza e resa –, che offrì la sua vita fino al martirio: venne impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg all'alba del 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine della guerra; Janus Korczak (1878-1942) ebreo polacco, educatore, medico – le sue teorie hanno rivoluzionato non solo la pedagogia ufficiale, ma l’intero modo di concepire il bambino nella società occidentale – che fondò nel 1912 la Casa dell’Orfano a Varsavia di cui divenne direttore. Quando nel 1942 i nazisti ordinarono ai duecento piccoli ospiti della Casa dell’Orfano di salire sul treno che li avrebbe condotti al campo di sterminio di Treblinka, Korczak andò con loro, nonostante l’offerta di un trattamento di favore che gli stessi nazisti erano pronti a riservargli. Con Korczak verrà ricordata Sissel Vogelmann (1935-1944), creatura innocente dai riccioli d’oro, che se n’è andata nel vento a soli otto anni, simbolo di tutti i bambini sterminati nei campi di concentramento.
2013
- Brescia si onorano Raphael Lemkin (1900-1959), Jan Patočka (1907-1977), Angelo Rizzini (1891-1980) e Caterina Rizzini (1891-1978), Mons. Carlo Manziana (1902-1997), Teresio Olivelli (1916-1945), Hetty Hillesum (1914-1943). Tutte figure che mostrano, in maniera cristallina, come il farsi giusti passi necessariamente attraverso atti di responsabilità incarnata, o se si vuole, attraverso un decidersi-per-l’Altro incondizionato e gratuito che sembra trovare il suo segreto ne «la bontà dell’uomo per l’altro uomo» di cui parla Vasilij Grossman in Vita e destino.
LA RASSEGNA
FARE MEMORIA
Fare Memoria è la rassegna di approfondimento - che avviene solitamente nei mesi invernali e primaverili - dedicata alla Shoah. Un percorso capace di indagare da un punto di vista filosofico, storico, teologico, letterario che cosa è stato l’olocausto e per fare della memoria non una mera cerimonia pubblica, ma un momento di riflessione che non può non tener conto sia dell’attuale panorama geopolitico sia dello spettro di un antisemitismo di ritorno proclamato a più voci dai cosiddetti negazionisti. Antisemitismo che non può non chiamarci in causa, tanto più in mondo globalizzato, complesso e in fermento quale è quello in cui abitiamo.
Mai come in questo periodo storico si avverte il bisogno di fare memoria. Mnemosyne, nella mitologia greca depositaria della memoria collettiva, madre delle nove muse evocate dai poeti sin dall’Iliade e dall’Odissea per eternarne il messaggio, è divenuta oggi, se così si può dire, garante di quella memoria del passato, senza la quale non vi può essere presente né futuro, e grazie alla quale, viene affermata e garantita l’identità e la dignità di chi non è non è più tra noi. La Shoah – ritenuta una cesura della storia, e non soltanto della storia del popolo ebraico – rappresenta, al di là della sterile dialettica tra particolarismo e universalismo, un contro-evento – come ebbe modo di definirla Arthur A. Cohen – che proprio per il tremedum cui rinvia , proprio per l’abisso di male che evoca non può non chiamare in causa la coscienza collettiva, l’umanità che abita ogni essere umano, per provocarne quella domanda che non avrà mai una risposta ultima o definitiva: che cosa è stato? Ma che, tuttavia, ci invita, anzi ci obbliga moralmente a riflettere, a capire, ad ascoltare, a metterci in discussione.
direttrice del Festival Filosofi Lungo l’Oglio, Francesca Nodari
Lo sforzo del ciclo che qui presentiamo è proprio quello di mostrare punti di vista autorevoli su che cosa è stato, capaci di orientare la coscienza del singolo su un evento che non può e non potrà mai passare sotto silenzio. Questo, nella convinzione che il forse e il davar acher (altra interpretazione) costituiscano delle costanti nella storia ebraica.
Qui tutte le edizioni dalla più recente:
2022
Chi salva una vita, salva il mondo intero», dice il Talmud. E lo salva pure «chi dà il proprio contributo contrapponendosi a ogni forma di totalitarismo, di genocidio e di violenza, anche a costo di perdere la propria, di vita.
2018
2016
Tema sulla specificità del vissuto e del dolore delle donne in quelle condizioni di privazione totale, in quella prigionia fatta di fame, di freddo, di percosse, di umiliazioni, di notte in pieno giorno, di viaggi della morte dove il capolinea si chiamava lager. Mettere, cioè, al centro dell’attenzione il ruolo delle donne, troppo spesso trascurato, sottovalutato. Riportare in auge l’importanza della memorialistica della deportazione femminile. E intendiamo farlo avvalendosi sia dell’apporto di studiose di rango sia dando voce all’eccezionale testimonianza di figure di donne che sono riuscite a scampare al lager come Paola Vita Finzi ed Elena Ottoleghi mettendo in atto tutti gli escamotages possibili per sfuggire al pericolo sempre possibile della cattura o alla minaccia delle delazioni e di donne come le sorelle Tatiana e Andra Bucci che hanno visto l’inferno con i loro occhi e provato sulla loro pelle marchiata da quel numero indelebile – che peraltro ne rappresentava l’unica forma d’identità nei lager – l’orrore dei campi, degli esperimenti che in essi vi si conducevano, di migliaia di persone mandate alla camere a gas, di bambine come loro separate dalle madri, di neonati soppressi nel nascere, di messa in discussione della vita e di coloro che, in quanto generatrici della medesima, venivano private non solo di cibo, di indumenti, dell’amore dei propri cari, ma anche della loro stessa femminilità.
2016
Un tema, purtroppo, di estrema attualità: basti pensare alla strage nella strage degli attentatori di Charlie Hebdo, che non hanno risparmiato, dopo averli fatti prigionieri, neppure la vita dei quattro malcapitati clienti del negozio koscher, mentre il fallimento di un attentato studiato con dovizia di particolari all’asilo ebraico è stato sventato grazie all’agente che ne sorvegliava l’accesso. Sventato, ma pagando l’alto prezzo di un’altra vita spezzata a soli vent’anni. «Je suis Charlie, je suis juive» verrebbe da dire. A tal proposito suonano come un monito le parole scritte da Rav Giuseppe Laras nei giorni immediatamente seguenti quelle tragiche cinquanta sei ore di vittime, blitz, altre vittime. E poi silenzio. Un silenzio assordante. Un «finta di niente» che paralizza e fa paura: «Siamo in guerra e prendiamo coscienza che siamo solo agli inizi. È la prima volta dai giorni di Adolf Hitler che le sinagoghe in Francia sono state chiuse di sabato. Tuttavia, è unicamente il tragico e spaventoso attentato al giornale Charlie Hebdo che ha scosso gli europei: i molti e continui attentati ai singoli ebrei e alle comunità ebraiche in tutta Europa in questi anni hanno turbato qualcuno, ma per quasi tutti si è trattato “solo” di ebrei. Parimenti non ci sono stati sgomento e allarme per il fatto che da anni ormai, giustamente, gli ebrei francesi abbandonino la “laica” Francia. Così accade in molti altri Paesi europei e il motivo è il medesimo, ovvero il dilagare del terrorismo di matrice islamista, con il suo carico di odio antisemita».
2015
Come dire: in un incedere che non può non farsi nuovamente interrogante, facendo tesoro degli approfondimenti che riteniamo propedeutici al tema in oggetto, si intende concentrare l’attenzione, per un verso, sui luoghi che sono stati teatro di quell’orrore; per l’altro, sui volti che, in ultima analisi, rinviano all’alterità irraggiungibile dell’altro.
2014
Un interrogativo che, dopo l’indagine svolta nel 2012 sul che cosa è stato, intende fare i conti fino in fondo con le maglie nelle quali il male irretisce le sue vittime, a partire da quel controevento che si chiama Shoah, come ebbe modo di definirla Arthur A. Cohen. Perché tutto ciò è stato possibile? Perché Dio tacque e perché quel male ha sedotto così tanti uomini? Perché certe connivenze, certi silenzi? Perché si può ancora sperare dopo quell’orrore? E perché si può parlare di un antisemitismo al di là dell’antisemitismo? Perché, ad Auschwitz, per riprendere Primo Levi, «non c’è perché»?
2013
Sono molti pensatori ebrei e non, i filosofi, i teologi, i rabbini, gli studiosi che si sono confrontati con questo fatto estremo. Da Richard L. Rubenstein che definì la Shoà «il Sinai del nostro tempo» a Ignaz Maybaum che intravide nella morte innocente degli oltre sei milioni di ebrei il darsi di un sacrificio vicario ed espiatorio per i peccati del mondo, a Elie Wiesel, Premio Nobel per la pace nel 1986, che arrivò a dire che «è impossibile continuare a credere, ma è anche impossibile non credere più».Lui che quei campi dell’orrore vide da vicino e che perse tutta la sua famiglia nei lager, riporta in auge quella discussione con Dio, che non è negazione di Dio, ma rifiuto – si pensi solo al celebre saggio La Notte – di ogni forma di teodicea così come della teologia edulcorata degli amici di Giobbe. Il suo, più che un dio sadico o indifferente, è un Dio che vede e tace, ma che piange di nascosto, che afferma, secondo un famoso midrash: «I miei figli mi hanno vinto». Wiesel introduce al grande tema dell’assenza di Dio, al Dio muto o non (più) onnipotente, per dirla con Hans Jonas.