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Il teologo americano Arthur Cohen chiamò i campi di sterminio nazisti «il Tremendum»: monumenti, scrisse,«di un’inversione senza senso della vita verso un’orgiastica celebrazione della morte». Dopo una simile tragedia, perché si dovrebbe tornare a coltivare la speranza? Massimo Giuliani, docente di Studi ebraici e di Ermeneutica filosofica all’Università di Trento (ha da poco tradotto e curato per Morcelliana il libro di Cohen sull’olocausto), ha cercato di proporre una risposta l’altra sera, nel Teatro comunale di Erbusco, durante il quarto incontro di «Fare memoria», la rassegna a cura di Francesca Nodari dedicata al ricordo della Shoah.

Giuliani ha conversato intorno al suo testo, già leggibile nel nuovo instant book di «Fare memoria» edito da Massetti Rodella, ed ha esordito ricordando le parole pronunciate nel 1990 dal cardinale Carlo Maria Martini: la Shoah è «un crimine imperdonabile che graverà sempre sulla coscienza europea». Auschwitz, osserva Giuliani, «sembra mettere in dubbio il processo che a partire da Kant giunge fino a metà del ’900: quella modernità cheha cambiato il volto dell’Europa. L’olocausto ha segnato la fine dell’illuminismo, ma per molti studiosi è stato anche "il" suo fine: alcune sue premesse erano già presenti in certi processi della modernità».

È la «dialettica dell’illuminismo» teorizzata da Adorno e Horkheimer, secondo i quali «i germi barbarici, ad esempio il pensiero razzista, sono già dentro la modernità ». Agli antipodi delle speranze illuministe, Auschwitz «sconvolge le nostre categorie consolidate e il tentativo di giustificare l’uomo di fronte al male nel mondo».E produce una «bancarotta del pensiero». Pure, esiste un’altra faccia della Shoah: quella dei «giusti» che in molti modi si opposero alla dittatura, mettendo in gioco la propria vita. Come ha osservato il filosofo Emil Fackenheim, il fatto che anche di fronte alla «logica irresistibile» del nazismo vi fu qualcuno che seppe resistere mostra a noi la «ragione ultima e più profonda per sperare». Speranza e disperazione convivono nell’uomo contemporaneo, in un drammatico rapporto dialettico.

Scrive Cohen: «La speranza che Dio offre all’uomo e la disperazione che l’uomo restituisce a Dio è la dialettica più feroce che il nostro tempo abbia vissuto». Non dev’essere la morte, però, ad avere l’ultima parola: «Vi è qualcosa di più grande, la dignità umana e la sacralità dell’interiorità che nessuna violenza può sopraffare». Gli ebrei, dice Giuliani citando ancora Fackenheim,«non hanno il diritto di concedere a Hitler delle vittorie postume»: se la disperazione vincesse, il mondo sarebbe lasciato in preda alle forze di Auschwitz. Al rabbino Izchaq Nissenbaum del ghetto di Varsavia è attribuita l’espressione teologica «qiddush hachajjim », «santificazione della vita». Indica «il dovere assoluto che un ebreo ha oggi di sopravvivere, contrapposto all’atto del martirio». Nobile atto di fede, quest’ultimo, ma anch’esso «assassinato ad Auschwitz,quando i nazisti hanno privato le vittime della possibilità dell’assenso alla loro stessa morte».

Dopo la Shoah, la speranza è dunque «un debito morale che abbiamo verso le vittime, soprattutto nella misura in cui si tratta di una speranza contro Auschwitz, custodendo la memoria storica di quel che è stato e vigilando in modo critico sul presente».Perché essere giusti è sempre possibile: «Basta tenere aperti gli occhi e vincere il virus dell’indifferenza e del pregiudizio».

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Giovedì, 31 Gennaio 2013 01:00

Filosofi lungo l'Oglio al San Fedele per la Memoria

Nell'ambito della rassegna «Filosofi lungo l'Oglio», iniziativa che gode dell'Alto Patronato della Repubblica ed il patrocinio di Regione, Provincia e Comune, giovedì 7 febbraio alle ore 20.45 l'auditorium San Fedele ospiterà Paolo De Benedetti. Un incontro che chiude le celebrazioni organizzate a Palazzolo dall'Amministrazione comunale e dalle associazioni Nuova Resistenza, Anpi, Centro di formazione musicale «Riccardo Mosca» e Circolo dopolavoro comunale, dedicate alla giornata della Memoria.
Il professor Paolo De Benedetti, teologo e biblista, nonchè uno dei massimi esperti contemporanei dell'ebraismo, relazionerà su «Il futuro di Dio» e sull'importanza di fare memoria oggi. Tema che riflette quello dell'edizione invernale dell'iniziativa «Filosofi lungo l'Oglio» dedicata alla Shoà, ossia quello del fare memoria per la coscienza collettiva, per le inevitabili sfide che pone l'ingresso nell'era post memoria, quella in cui i testimoni diretti degli avvenimenti se ne stanno andando, rimarcando l'imperativo del «Non dimenticate».
De Benedetti è stato a lungo docente di Giudaismo presso la facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale di Milano e di Antico Testamento presso gli Istituti di Scienze religiose delle università di Urbino e Trento. Protagonista del dialogo interreligioso attuale, il professore dirige, tra le altre, anche la prestigiosa collana «Pellicano Rosso» della Morcelliana ed è tra i curatori del Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature. Ingresso libero.

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Male assoluto, indicibile, diabolico, estremo. Sono solo alcune delle louzioni con cui la filosofia del’ 900 ha descritto gli orrori di Auschwitz. Quella dimensione «iperbolica del male», che, in un tragico oltrepassamento dei valori e dei limiti, ha fatto «sprofondare la civilissima Europa negli abissi nichilistici». All’interpretazione ha contribuito «non solo l’inaudita atrocità dei fatti storici», ma anche il cosiddetto «paradigma Dostoevskij». La lente fornita dall’ equazione «male uguale nichilismo», da un punto di vista sia etico che ontologico, rimanda l’osservazione del «piacere assoluto di chi è posseduto dal godimento della distruzione», di un male che non è mai slegato dal potere. Anzi: i demoni dostoevskiani sono accomunati dall’aspirazione a «prendere il posto di Dio e della sua infinita libertà». È così che il male «entra nel mondo», scatena il disordine e diventa fonte di sofferenza.
Eppure la lettura demoniaca dello sterminio nazista non rende del tutto conto dei complessi meccanismi che ne hanno consentito la realizzazione. Primo Levi, l’autore di «Se questo è un uomo» aveva invitato «a complicare la scena», ammettendo che il palcoscenico del male non è quasi mai una «dimensione a due».

La tesi è proposta dalla filosofa Simona Forti, intervenuta l’ altra sera in città, introdotta da Francesca Nodari, su «La questione del male tra trasgressione e obbedienza», per l’ incontro promosso dall’ associazione Filosofi lungo l’Oglio con Casa della Memoria. «Non ho scritto un libro per affermare che non esistono persecutori malvagi e vittime innocenti. Ma se le azioni dei primi hanno così successo è probabile che sia perché a questa istanza di assolutizzazione della morte risponde la richiesta dei molti di assolutizzare la vita» ha detto la studiosa, riferendosi al suo saggio «I nuovi demoni. Ripensare oggi male e potere» (2012). L’ opera traccia una nuova genealogia del nesso tra male e potere, ripensandone fenomenologicamente gli aspetti «microfisici»: non deve essere indagato soltanto nel legame con la morte e il nulla, ma analizzato nel rapporto che intrattiene con l’ostinata passione per la vita, col desiderio di essere riconosciuti. Forti intende superare la «metafisica della malvagità» che ha connotato buona parte dell’ermeneutica novecentesca, quindi la dicotomia sul cui fondo rimane sempre l’immagine della relazione vittima-carnefice.
Ne «I sommersie i salvati» di Levi si trova la più «sobria, molecolare» confutazione di tutte le concezioni demoniache del potere, attraverso la presenza «grigia» di individui che, in nome dell’ottusa obbedienza e del mero conformismo, ma soprattutto spinti dalla volontà di sopravvivere, collaborano al male o assistono da passivi spettatori alla sua esecuzione. Sulla «banalità del male» si era già interrogata a fondo Hannah Arendt, e fu anche molto criticata.

Ora, la «microfisica» indicata da Levi, e sviluppata da Simona Forti, ci offre un’analisi dei rapporti di potere che funziona anche in situazioni meno estreme. Quel «desiderio insopprimibile della libertà» che si concretizza nel bisogno di prestigio, e nella necessità di scaricare su altri il peso dell’ umiliazione e delle offese, «lo ritroviamo in ogni convivenza umana, dal lager ad uno stabilimento industriale».

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Ugo Volli, l’altra sera, parlava nella sala del Consiglio comunale di Castrezzato per il ciclo Fare Memoria organizzato dai Filosofi lungo l’Oglio, accompagnato da una stuolo al femminile, la direttrice Francesca Nodari, l’assessore Maria Paola Bergomi,il sindaco Gabriella Lupatini, la consigliera Anna Maria Gandolfi delle Pari Opportunità. Lui apriva la riflessione in Municipio e sotto, nei bar, le televisioni trattavano lo scrutinio delle elezioni politiche in Israele, segnando la vittoria non clamorosa di Netanyahu, l’avanzata del Centro. Nell’accento di nebbia e nel freddo uno sotto zero di Castrezzato si riscopriva il senso della globalizzazione, la coperta della filosofia, il gelo della disoccupazione, la compagnia del Fare Memoria per non dimenticare, il filo da rinforzare tra chi approfondisce il «Mai più. L’antisemitismo dell’Antisemitismo» con il prof. Ugo Volli, docente di semiotica, giornalista e scrittore di critica teatrale e artistica e chi si distrae per superficialità e per preoccupazione ai propri bisogni.

Mazzini, che radicalizzava la sua parte, s’era convinto: con la pancia piena si avvista la rivoluzione risorgimentale.Le parole di Volli e i brusii dei bar, i silenzi pensosi delle ex nebbie, la prossima alba scarsa di uomini sui pulmini esangui verso Milano per costruire altre case scarse, si trasformava in quel «cappuccio universale» in cui ciascuno trova il bollente e l’amaro della vita. Il prof. Volli ha il problema di chi possiede una cultura vasta e si trova ad ogni pausa di fronte a un incrocio invitante: di qua o di là, indietro o avanti, ieri o adesso? Ma intinge subito la diffidenza scientifica in quel «cappuccino universale», in quella globalizzazione relativista in cui si disperdono le identità e le specificità. Quel «cappuccino universale» gli sembra l’ultimo lager liquido per sciogliere l’ebraismo e confonderlo nel tutto del niente. L’antisemitismo, dice, è dentro una strategia di distruzione millenaria. Hitler non era il primo e si deve stare attenti affinchè non sia l’ultimo. I Cristiani non solo di Agostino, i Maomettani da Maometto ad Hamas hanno puntato sulla eliminazione dei «fratelli maggiori». Ecco il senso delle elezioni in Israele che salgono le scale del municipio di Castrezzato,l’omonimia tra Ebraismo, Israele, Shoah.

Il prof. Volli è pronto a inviare agli increduli messaggi filmici in cui i dettati di Hamas, per esempio, stanno oltre l’hitlerismo. Sentite il canto di Hamas nella voce resistente di Volli: «Noi vinceremo perchè noi amiamo la morte quanto voi amatela vita». Il prof. Volli traccia esempi sul «carattere genocida della dirigenza palestinese; alcuni dei loro leaders hanno scritto tesi di dottorato com- pletamente negazioniste sulla Shoah». L’antisemitismo, insomma, avanza in una scansione secolare senza sosta. Quel «Mai più», gridato dalle nazioni dopo la scoperta di Auschwitz rischia perfide soste. Costantemente, spiega il relatore, le motivazioni fondamentali che reggono i moventi dello sterminio si riferiscono all’ostinazione degli ebrei di rimanere ebrei;per i cristia- ni al fatto di non aver riconosciuto Gesù e di averne causato la Crocifissione e per i Musulmani, gli ebrei avrebbero rifiutato di riconoscere la rivelazione dell’arcangelo Gabriele su Maometto. Volli ci porta nella neve del lager estremo, nei giorni in cui il nazismo preferì distruggere per distruggere, scelse l’ultima tortura piuttosto di una propria salvezza.

Li facevano camminare,scarni e senza fiato. Morivano più fragili della neve che cominciava e sfarsi. Di nuovo, come prima a Fossoli, nell’antici- po dell’immane pugnalata alla persona e al popolo, «l’alba ci colse come un tradimento».Parla Primo Levi e chi ama la pietà e la vive anche per somigliare il proprio patire a quello dei maggiori dolori, si sente figlio di una Croce, perfino orgogliosamente diritto e reclamante un’appartenenza alla Shoah con una quota minima di orfanità. Il prof. Volli è ammirato dal policentrismo vivace della cultura bresciana, ammira questi Filosofi Lungo l’Oglio, quasi accampati idealmente con le loro piccole tende vicino a una neve di pianura, in contatto con la neve dei campi di concentramento.

Sentinelle giovani e meno giovani. Tirano la mezzanotte nel giorno che va a girarsi. L’alba magra dei nostri giorni non ci coglierà come un tradimento, se ci riconosceremo eguali nella potenza della sofferenza e della resistenza.

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Martedì, 22 Gennaio 2013 01:00

Ugo Volli e l'eterno ritorno dell'antisemistismo

Secondo appuntamento per la rassegna di incontri «Fare Memoria. Perche?» di «Filosofi lungo l'Oglio». Stasera, alle 20.45, nella sala cosiliare del municipio di Castrezzato, (piazzale Risorgimento,1), Ugo Volli, ordinario di Semiotica del testo all'Università di Torino, tiene la conferenza «Mai più? Antisemitismo al di là dell'antisemitismo». Da tempo Ugo Volli invita a non sottovalutare le minaccie palpabili provenienti dal cosidetto antisemitismo di ritorno.

Per non dire poi dello spettro inquietante del negazionismo. Il fare memoria costituisce, pertanto, un dovere e insieme un'occasione per interrogarsi sull'identità dell'Europa, sulle ragioni che l'hanno portata alla distruzione di massa di un popolo, su certe connivenze, su certi silenzi.

Triestino di nascita, Volli (classe 1948) coordina anche il Centro interdipartimentale di ricerca sulla comunicazione (CIRCE). Dal 2006 al 2012 è stato presidente della sinagoga reform Lev Chadash.
Ha al suo attivo varie pubblicazioni scientifiche e una quindicina di libri. Ha lavorato a lungo nell'editoria libraria: caporedattore per la Bompiani e direttore di collana per Electa.

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Sabato, 19 Gennaio 2013 01:00

La marmorea scrittura testimoniale di Primo Levi

Francesca Nodari, guida sicura dei «Filosofi lungo l’Oglio», apre la prima serata dedicata, invernalmente, al ciclo della Shoah, a quel «Fare Memoria» e a chiedersi il Perché sia potuto accadere il massacro costante, scientifico e infernale nei lager tedeschi e come sia stata sopportabile, silenziosamente, la vergogna del mondo prima di aprire il varco ufficiale al rimorso e alla pietà. L’altra sera siamo una cinquantina nella Rocca di Orzinuovi, intirizziti dall’eco di una neve buona, attesi a sentire la riflessione del filosofo della religione e di molto altro, il prof. David Meghnagi,sull’opera di Primo Levi, «Scrittura e testimonianza ».

La dott. Nodari avverte, ancora, sulla possibilità-necessità di una nostra resistenza incarnata al male. Meghnagi ha conosciuto e lavorato con Levi, costruito convegni, controllato l’alzarsi e l’abbassarsi della letteratura leviana nel corpo ambiguo degli scrittori ufficiali. Non è stato amato subito, neanche unpoco, Primo Levi, dice il relatore: scomodo, con il timbro del testimone e dunque non letterato al tempo in cui, lamoda dei premi sdolcinati della letteratura teneva a distanza la testimonianza come fosse fonte di inquinamento, erigendo il vessillo di una letteratura neutralista. Levi, invece,ha creato una lingua e molti ne hanno ripercorso i sentieri. I sopravvissuti, spesso,usano lo schema leviano, indicano il male e il dolore con le medesime emozioni letterarie, si riavvolgono in un lutto con l’accento di preghiere sorelle. David Meghnagi insiste: la letteratura vera non è invenzione, è spirito di parola testimoniale. Levi viene tenuto lontano dal club degli scrittori vacui e seduttivi e lui stesso viene considerato vacuo per non essere nel centro dell’effimero.

Finalmente, quando la storia claudicante incontra la schiena diritta di tante persone, allora la letteratura e la testimonianza attingono alla sorgente della salvezza, alla parola che si fa azione. Il ruolo di Primo Levi quale scrittore viene riconosciuto con «La tregua», 1963. Eppure, quel testo egli altri di Levi avrebbero rappresentato uno strumento poderoso, e laico e santo, per una riconciliazione di destra e di sinistra, per un passo in avanti dell’umanesimo cristiano certo nell’anelito di un comune destino. Levi è scienziato e usa la precisione della scienza nella scrittura, sottrae l’inutile, utilizza la metafora della chimica, lavora sul sangue orante e cerca e spera di tenerlo lontano dagli abissi intanto che accende i lumi predestinati, notturnamente, di un lutto esposto prima della morte. Levi, il testimone, è libero. La vittima è soppressa,la letteratura riesce a reinventare, diremmo a resuscitare se fosse possibile, la vittima e il testimone nella stessa carne e nello stesso spirito, per mediazione.

La letteratura, dice Meghnagi, è congiunzione tra vittima e testimone. La letteratura è insieme vita e memoria, si «transustanzia» nella comunione di chi va a morire, inerme e già torturato, a garanzia di un misterioso delitto totale. David Meghnagi incanta, riporta i lumini ebrei dell’alba e li appende a immaginari e nostri fiocchi di neve. Quando non ce la facciamo con la prosa, rischiamo la poesia.Vige un silenzio catacombale nella Rocca e per qualche minuto si pensa alla lacrima propria e del compagno di banco. Si è come in classe, all’alba di Levi in quel liceo D’Azeglio di Torino dove si argomentò un’adolescenza di luce e avanzò la tenebra. «...Sono solo al centro di un nulla...». Scriveva. Certificava, universalmente, la solitudine di ognuno.

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Mercoledì, 16 Gennaio 2013 14:36

Sulle sponde del fiume per Fare Memoria

«Perchè?». Nella domanda secca e urgente del sottotitolo sta il senso della rassegna invernale «Fare memoria» di Filosofi lungo l'Oglio, ossequiosa al format collaudato di un circuito itinerante di incontri nel territorio.

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Torna, con la seconda edizione, "Fare Memoria", il ciclo d'incontri con i grandi pensatori italiani e stranieri promosso dall'Associazione culturale Filosofi lungo l'Oglio, che si prefigge di non far dimenticare gli orrori del passato, come è stata la tragedia della Shoà.

Otto gli incontri organizzati e che si terrannodal 17 gennaio al 21 febbraio ogni martedì e giovedì. «Accanto ai comuni già teatro della precedente edizione, Brescia, Castrezzato, Orzinuovi e Travagliato - spiega il direttore scientifico del ciclo di incontri e presidente dell'Associazione culturale Filosofi lungo l'Oglio, Francesca Nodari - ci fa piacere abbiano aderito altre realtà municipali: Erbusco, Leno, Rovato e Palazzolo». Il momento più importante della manifestazione è previsto per il 6 marzo.

La giornata europea in memoria dei Giusti, persone non di religione ebraica che durante l'Olocausto si batterono per salvare la vita agli ebrei. « Alle 11 del 6 marzo - anticipa Francesca Nodari - al Parco Tarello di Brescia 2 verrà inaugurato il Giardino dei Giusti di Brescia. Saranno piantati 6 pruni in memoria di altrettante persone (i nomi saranno comunicati nei prossimi giorni) che possono essere annoverati nella cerchia dei Giusti».

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Sotto L’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con il Patrocino dell’Assessorato all’Istruzione, Formazione e Cultura della Regione Lombardia, della Consi­gliera di Parità Provinciale, della Provincia di Brescia, del Parco Oglio Nord nonché degli enti ospitanti e in partnership con la Fondazione Movimento Bambino prende il via, domani, giovedì 17 gennaio, alle ore 20.45, presso la sala mostre della Rocca S. Giorgio di Orzinuovi (Bs), la II edizione di Fare memoria.

Ospite d’eccezione sarà David Meghnagi – docente di Psicologia clinica, Psicologia dinamica e Psicologia della religione all’Università di Roma Tre, dove dirige anche il Master in Didattica della Shoà da lui ideato – che terrà una lectio magistralis dal titolo: Scrittura e testimonianza. L’opera di Primo Levi. Finissimo conoscitore della musica concentrazionaria e dell’opera di Primo Levi, esule da Tripoli nel 1967, Meghnagi è uno di quegli ebrei che riuscì a scampare – allora aveva soltanto diciotto anni – al pogrom voluto dalla Libia di Gheddafi, raggiungendo l’Italia con altri otto familiari, dopo aver trascorso interminabili giorni di angoscia, di minacce e di terrore. «Accompagnati idealmente dalla testimonianza di vita e di pensiero di S. E. Rev. ma, Mons. Carlo Maria Martini, cui è interamente dedicato la II edizione di Fare memoria – ha dichiarato, il direttore scientifico della Rassegna, Francesca Nodari – ci apprestiamo ad inaugurare questo ciclo, aiutati da illustri relatori, cercando di problematizzare gli innumerevoli interrogativi che scaturiscono da quel perché che sostanzia il sottotitolo di questa seconda edizione e insieme ne indica la specificità, il punto d’osservazione dal quale partire per cercare di approfondire e di tenere viva la memoria su ciò che è stato. Certo, questo con grande rispetto e umiltà, senza alcuna pretesa di trovare risposte ultime, ma ipotesi che possono, tuttavia, offrire piste di lettura o spalancare orizzonti di senso dinnanzi a ciò che resta puro non-senso, nella convinzione, per riprendere le parole di Primo Levi, che “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”».

«È solo una supposizione, anzi, l’ombra di un sospetto: che ognuno sia il Caino di suo fratello, che ognuno di noi (ma questa volta dico “noi” in un senso molto ampio, anzi universale) abbia soppiantato il suo prossimo, e viva in vece sua. È una supposizione, ma rode; si è annidata profonda, come un tarlo; non si vede dal di fuori, ma rode e stride».
P. Levi, I sommersi e i salvati

CHI È DAVID MEGHNAGI

David Meghnagi è nato a Tripoli nel 1949. Nato da una famiglia ebraica in cui era fortemente coltivato l’amore per la musica e il canto liturgico, è ideatore e direttore del Master internazionale di secondo livello in Didattica della Shoah presso l’Università di Roma Tre, all’interno del quale dirige un progetto di catalogazione della musica concentrazionaria. Professore di Psicologia Clini­ca, Psicologia dinamica e Psicologia presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre, è altresì docente di Psicologia della Religione e di Pensiero Ebraico al Master Inter­nazionale in Scienza della Religione presso la stesso Ateneo e Membro della Delegazione italiana presso la Task Force for International Cooperation on Holocaust Remembrance and Education. È stato Vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e delegato per l’Italia pres­so la Conferenza dell’OSCE contro l’antisemitismo. È stato consulente del Centro di Cultura Ebraica di Roma. Membro del comitato scientifico di numerose riviste scientifiche e divulgative italiane e straniere, tra cui, «Lettera internazionale» (rivista di cultura europea pubblicata in numerose lingue), «Quadrangolo» (rivista di psicoanalisi e scienze sociali) e la rassegna mensile «Israel». Ha collaborato a diverse testate giornalistiche e riviste italiane e straniere. Negli anni settanta e ottanta è stato attivo nello sviluppo di una cultura del dialogo interreligioso e di una politica di pace nel Vicino Oriente. Ha avviato un progetto di valorizzazione della musica litur­gica del Mediterraneo. Tra le sue pubblicazioni: Il Kibbutz: aspetti socio-psicologici, Barulli, Roma 1974; La sinistra in Israele, Feltrinelli, Milano 1980; Freud and Judaism, Karnac Books, London, 1993; Tra Vienna e Gerusalemme. Interpretare Freud, Marsilio, Venezia 2003; Il padre e la legge. Freud e l’ebraismo, Marsilio, Venezia 2004; Ricomporre l’infranto. Il lutto della Shoah nell’espe­rienza dei sopravvissuti, Marsilio, Venezia 2005; Primo Levi. Scrittura e testimonianza, LibriLi­beri, Firenze, 2006; Le sfide di Israele. Lo Stato ponte tra Occidente e Oriente, Marsilio, Venezia 2010. Ha curato, inoltre, l’edizione italiana delle memorie di Marek Edelman, Memoria e storia dell’insurrezione del ghetto di Varsavia, Città Nuova, Roma 1985; con altri ha curato: La cultura sefardita, in tre volumi, Israel, Roma 1984; Antinomie dell’educazione, Armando, Roma 2004. È stato coautore di numerosi volumi tra cui: Il tempo del transfert, Guerini Associati, Milano 1989; Judentum Ohne Halacha, Ohne Zionismus, Judaica, Zurich 1986; L’oppio dei popoli. Quando la religione narcotizza la coscienze, Piemme, Milano 2009.

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Martedì, 15 Gennaio 2013 16:31

Sentinelle della Shoah in cerca di perché

Meno soldi e più incontri, risorse scarse e partecipazione maggiore. Perchè?

Perchè la crisi economica non erode la memoria, perchè si è più leggeri con un euro di meno, si scava a fondo e ci si erge verso il cielo. Perchè agisce, sotterraneamente, una sorta di senso di colpa universale verso i soppressi, ci chiama in causa, il senso di una responsabilità diretta e indiretta, per peccati d’azione e di omissione. Insomma, se ci si stringe, si è di più al tavolo della Shoah. Primo pomeriggio di ieri, sindaci e loro rappresentanti nella saletta della cultura inpiazza Loggia, regista la dott. Nodari per la presentazione sulla Shoah dei Filosofi lungo l’Oglio, vicino la consigliera delle Pari Opportunità, Anna Maria Gandolfi e l’assessore provinciale alla Cultura, Silvia Razzi.

Ragionano con una freschezza rinnovata sulla difesa della vita, invitano a non colorare la vita e la morte di ideologia, non dimenticando nessun eccidio - con il maggior invito dell’assessore Razzi di aggiungere le Foibe, il prossimo anno-,non dimenticando armeni e cambogiani, non rinunciando mai, per dirla con il pro sindaco di Orzinuovi, Severino Gritti, di scandalizzarci davanti a storie di sangue. Nessuno ha rinunciato a porre un seme di sentimento e di ragione nel giardino dei giusti, che pure sorge idealmente prima di ergersi ufficialmente il 6 marzo nel Parco Tarello - ricorda la Nodari:«Grazie all’impegno di Arcai e di Labolani» -; il seme portato dalla Bergomi da Castrezzato riguarda la persistenza della pietà,da Razzi e Gandolfi il seme dell’esigenza di coinvolgere i giovani, il progetto scuole predicazione- comunità è il seme offerto da Cossandi da Palazzolo; si sente il seme dell’entusiasmo etico della Minini da Erbusco; il seme di Leno ha la voce di un intellettuale della Confraternita dei santi Faustino e Giovita, «di martiri », ricorda il prof. Angelo Baronio e annuncia un vasto programma della festa patronale. Palazzolo, Leno e Rovato sono i nuovi paesi e si comincia subito con Orzinuovi, giovedì 17 gennaio, ospite David Meghnagi.

Il ciclo sulla Shoah, riflette la dott. Nodari, ha una doppia dedica, una per il vescovo Martini, grande tessitore tra Ebraismo e Cristianesimo e a Primo Levi, la personalità che visse più lucidamente e più angosciosamente la testimonianza del lager. Che ridusse in parole illimitate il male e la cattiveria umana fino a mostrare l’ultima lama - sempre omicida e non suicida - in un volo verso l’alto più che verso il basso. A cercare l’ossigeno dello spirito e resistere al veleno di un potere neutrale sulla vita. In questa società liquida, dicevano a turno, Nodari e Baronio, cercheremo «i Perchè » della Shoah. «Perchè» è il sottotitolo di questo ciclo. E allora ci veniva alla mente che "liquido" anticipa di un passo quel "liquidare" su cui si fuse il disordine del male e del maligno, negando la vita degli inermi e dei giusti.

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