«Mi davano della visionaria», racconta oggi Francesca Nodari. Ma già in quei primi incontri dal successo immediato (con 150 partecipanti a sera) capì di non aver commesso un atto di «hybris»: piuttosto di aver intercettato un bisogno diffuso. Capì che ci sarebbe stato un seguito entusiasmante e carico di responsabilità. E il «seguito» è una partecipazione che, anno dopo anno, è aumentata fino a raggiungere l'eccezionale numero di 45mila presenze a edizione; è lo sconfinamento del Festival ben oltre il territorio percorso dall'Oglio (Bergamasca compresa); è la costituzione dell'associazione Filosofi lungo l'Oglio nel 2009, seguita dal riconoscimento della Fondazione nel 2015.
Come si è spiegata questo successo? Chi sono tutte le persone che seguono il Festival?
«Mi sono fatta l'idea che si tratti di persone perbene in cerca di risposte non da spettatori ma nel confronto con relatori che, pur essendo di altissimo livello, sono stati e sono capaci di rivolgersi al pubblico in modo non elitario, sfatando quel che comunemente si crede della filosofia (tra l'altro, mi piace ricordare che Emanuele Severino tenne la sua ultima conferenza con noi, a Caravaggio). Attenzione, però: il nostro festival non è un fast food culturale; al contrario, è fecondo, generativo. E infatti le persone macinano chilometri per venire, noi organizzatori ne percorriamo 800».
Un aspetto fondamentale del festival è il luogo nel quale è nato: la Bassa bresciana, che molti hanno avuto l'occasione di scoprire...
«Io sono della Bassa e in passato sono sempre dovuta andare a Brescia per partecipare a iniziative culturali. A un certo punto ho pensato di provare a organizzare qualcosa nella mia terra d'origine, una terra che amo molto: ci ha dato il pane, certo grazie alla laboriosità della sua gente, e noi abbiamo il dovere di ricompensarla, anche con un altro tipo di nutrimento, quello appunto culturale. Poi, negli anni, il festival (che rappresenta un unicum in quanto itinerante) si è allargato, anche se noi rimaniamo "quelli dell'Oglio": quest'anno saremo addirittura in Valtrompia, con una sorta di "mini-festival" in tre incontri, e in Valcamonica. Avremo anche due new entry trai Comuni coinvolti, Collebeato e Iseo, e il ritorno di Sarnico».
Quali altre anticipazioni ci può dare sulla prossima edizione?
«Si svolgerà dal 5 giugno al 25 luglio, con una trentina di incontri nell'arco di 40 giorni: davvero un grosso impegno. La parola chiave (che scegliamo sempre col Comitato scientifico e con gli ospiti durante l'edizione precedente e comunichiamo l'ultima sera) è "osare", un verbo che può assumere significato positivo o negativo e per noi vuol dire anche provare a risollevarsi dopo la pandemia (che peraltro non ci ha fermato nemmeno nel 2020, quando soltanto gli ultimi incontri si sono tenuti a distanza)».
Qualche nome?
«Tra i relatori, alcuni sono degli habituée che ci onorano con i loro ritorni: Enzo Bianchi, Massimo Cacciari, Ivano Dionigi, Maria Rita Parsi, Francesca Rigotti... Ma ci saranno anche nuovi ospiti come le filosofe Catherine Chalier e Danielle Cohen-Lévinas. Infine, durante il festival inaugureremo la sede della Fondazione Filosofi lungo l'Oglio, per la quale sono partiti i lavori a VillaChiara di Orzinuovi: sarà ricavata da un vecchio stallo per cavalli. Anche questo è un modo per ringraziare la nostra terra. La nuova sede sarà a disposizione come punto di riferimento dei 30/40 Comuni del bacino d'utenza del festival».
Guardando al passato, che cosa ricorda in particolare?
«Ricordo tra l'altro, con grande commozione, ospiti che oggi non ci sono più come il mio maestro Bernhard Casper, grande filosofo delle religioni, scomparso l'anno scorso: mi diceva di non smettere mai di avere fiducia, di seminare. E rammento le parole chiave delle diverse edizioni: Geografia delle passioni, Vizi e virtù, Corpo, dignità, fiducia, Noi e gli altri, Essere umani... Ogni parola è stata il risultato di un labor limae a partire da un'idea condivisa con gli stessi ospiti del Festival, ed è sorprendente come, senza alcun accordo, le conferenze di ogni edizione non solo l'abbiano declinata, ma spesso si siano richiamate tra loro disegnando un filo rosso offerto alla riflessione».