Cacciari è accolto dal parroco don Domenico Amidani, dal sindaco, Andrea Ratti con guardia schierata della Giunta tra cui l'assessore alla Cultura, Michele Scalvenzi. Si alza la testa per scorgerlo e si attende che inizi a trattare la questione, «Migrazioni di un nome: la fede». Vale la pena di pensare, di riunirsi a ragionare, dice il sindaco Ratti e al parroco piace che si pensi in chiesa poiché pensare è aprire ad una preghiera. Agitare la fede, d'altro canto, è più rassicurante in chiesa che negli smarrimenti di tante piazze, di tante contrade. Cacciari compie gli anni per la ragione che quando pubblichi un libro è un compleanno speciale e lui ha appena dato alle stampe l'ultimo ragionamento di una trilogia, «Labirinto filosofico». Quando affronta la sostanza e la forma si disperde, Cacciari recupera un tono da saggio, se sgarra l'interlocutore, se l'aria non tira all'oriente della sua Venezia, allora comincia a muovere qualche sillaba nevrotica, è capace di andarsene.
Ma la sera è perfetta, la parola «fede» aperta nel centro di una grande chiesa padana Come puoi sgarrare? Il tema, ragiona il filosofo veneziano, riguarda la «famiglia» di quei termini che si dirigono verso l'attesa, verso la speranza, un itinerario verso la fede della tradizione cristiana. La migliore scelta della compagnia lungo questo viaggio si fa subito al negozio che non tradisce, alla vetrina della semantica, nel comparto in cui dire e sentire conducono alla medesima comprensione, alló stesso sapere.
La.«famiglia dei termini» apre subito con fides, intesa come luogo forte di fede, secondo la tradizione greca, alla maniera in cui Odisseo, nella descrizione di Omero, per esempio, medita la strage dei Proci e il suo cuore è saldo essendo sicuro di riuscire nell'impresa, avendo fede, per persuasione e convinzione prima di sé e quindi degli altri. In Esiodo, esemplifica ancora Cacciati, la fede assume le sembianze di una dea che persuade e così, Atena, nell'Agamennone di Eschilo dichiara che la sua parola è «certificante». Per i greci, la fede è un atteggiamento convinto e indica la qualità della persona che ha fede.
Si percepisce chiaramente un'investitura nei confronti di chi garantisce la vittoria, di chi è potente per fede. L'obbedienza cresce di conseguenza, diviene una sorta di estetica conveniente a favore di chi vincerà. Vittoria, potenza, obbedienza e conoscenza sostanziale nei confronti di chi si conosce come possessore di fede: io ho fede in chi ha fede e la governa. Cacciari introduce un altro termine della «famiglia» nel cammino verso la fede: foedus, che non è il patto stipulato soggettivamente, ma è legge, per stato di natura. Così come un altro termine della «famiglia» verso la fede, il Credo, il Credere significa dare credito a ciò che è potente.
La fede giudaico cristiana ribadisce questo itinerario forte e di oggettività della fede. Isaia, 7, 9, dice, se non avete la fede non starete in-sieme. Senza la fede nel Signore c'è soltanto lo sfascio, il disfacimento. Come mai, si domanda Cacciari, si è andato disperdendo questo intenso sapore oggettivo della fede? La colpa, risponde il filosofo, è della filosofia, per il decadere di una gradualità rettilinea espressa con precisione da Platone, allorché indica le tappe del cammino verso la cima, dalla caverna allavetta La filosofia sembra abbandonare la parte dell'oggettività della fede e non tiene conto del «primato dell'evidenza», che non è il primato logoro del nostro tempo, ma si riferisce a quella evidenza dove la fede rappresenta la vittoria del Signore e l'obbedienza del cristiano. Il patto consiste nella visione di un campo infinito dove, alla fine, si erge il primato dell'evidenza e si affievolisce l'idea di una fede come fiducia o di una fiducia come fede. Ma tutto si ordina secondo il principio di un itinerario vissuto dal soggetto verso l'oggetto. Per una determinazione più forte di ogni io umanamente inteso.