Un libro che rappresenta la terza tappa della sua trilogia teoretica: «Dell'Inizio» (1990), «Della cosa ultima» (2004). Mentre nella prima la riflessione verteva sulla cosa prima, l'Inizio, da dove insorgono la molteplicità delle cose, nella seconda l'autore si soffermava sul destino escatologico: qual è il volto degli oggetti in un orizzonte di salvezza ultima? Due libri di impronta neoplatonica — ricerca del Fondamento e dei suoi echi nel mondo —dove la filosofia faceva proprie le domande della teologia cristiana e investigava le tracce di eterno che vivono in ogni cosa, sia essa la più teologale o quella più terrena. Tracce che sono i segni dell'Inizio: le possibilità che accompagnano la vita di ogni singolo, colte nella loro unicità.
In «Labirinto filosofico» il punto di vista di Cacciari diventa ontologico: pensare l'ente nella sua presenza qui e ora, indipendentemente dalla sua provenienza e dal suo futuro. Come dire: dopo il confronto con la tradizione neoplatonica, ora l'interlocutore è Aristotele. Infatti, queste pagine sono un corpo a corpo con la metafisica aristotelica e la sua insistente domanda: che cos'è una sostanza?
Dove per sostanza si intende ciò che è determinato e separato, unico. E qui sta la novità della interpretazione: mentre per lo più con sostanza si è inteso ciò che è identico a sé, Massimo Cacciari domani a Orzinuovi per presentare la sua ultima pubblicazione Un'opera che ruota attorno a una domanda: che cos'è un ente? lontano dal poter accogliere ciò che è altro, per Cacciari la sostanza aristotelica cela in sé una differenza che la costituisce, e proprio nel suo manifestarsi empirico esprime una dialettica identità-differenza che è la natura propria di ogni cosa.
Ogni ente è questa lotta tra la differenza che Io costituisce dall'interno e il suo apparire identico allo sguardo di un osservatore. La differenza ontologica che Heidegger, contro Platone e Aristotele e tutta la tradizione metafisica, cercava tra l'ente e l'Essere, Cacciari la sorprende nella natura stessa di ogni cosa. Se nei primi libri della trilogia Cacciari aveva sviluppato una «protologia» (dottrina della cosa prima) e una «escatologia» (dottrina della cosa ultima), ora dispiega una «ontologia»: una dottrina dell'ente che rivendica il timbro metafisico che risuona in ogni vita fisica. Se immediate sono le conseguenze estetiche — spiega l'apparire sulla scena pittorica contemporanea di ogni tipo di oggetto, anche del più umile — filosoficamente queste pagine sono interessanti anche per il confronto con Emanuele Severino.
Da un lato sembra che Cacciari faccia propria la riflessione severiniana — ogni ente è eterno perché altrimenti non sarebbe se stesso — dall'altro egli, mostrando la differenza immanente a ogni ente, insiste sulle possibilità di vita che lo abitano. Ma se c'è possibilità c'è divenire, e quindi possibilità di non essere: l'opposto del divie-to severiano che l'ente possa non essere. Una contraddizione? Sì, ma nel senso alto del termine: lì dove si pensa, vero è il pensiero che non nasconde le proprie aporie, le strade sbarrate in cui si incorre per l'estrema coerenza logica. Appunto: la filosofia è un labirinto di aporie! E questo vale per Cacciari e Severino. Il confronto tra i due è una delle pagine serie della filosofia italiana contemporanea.