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Giovedì, 11 Luglio 2024 18:45

CREATIVITA E CAMMINO,ANTIDOTI ALLA VERTIGINE DELL'OBLIO DI SE STESSI

David Le Breton con Francesca Nodari David Le Breton con Francesca Nodari

Ma una cosa so di certo: nella mia vita futura sarò un magnifico zero,rotondo come una palla». La dichiarazione di Jacob von Gunten,il protagonista dell'omonimo romanzo di Robert Walser, sembra intonarsi a una tendenza in atto nel mondo di oggi: del desiderio diffuso di diventare «uno zero», di «prendere una vacanza da sé stessi» e disertare ogniforma di legame sociale ha parlato l'altra sera a Iseo l'antropologo David Le Breton, ospite per la prima volta delfestival Filosofi lungo l'Oglio diretto da Francesca Nodari.

Lo studioso francese, autore di libri molto letti anche in Italia (tra essi «Fuggire da sé»,filo conduttore del discorso fatto a Iseo), ha coniato una parola, «biancore», per definire la condizione di chi rinuncia alla fatica di mantenere un'identità in una società segnata dalla «ricerca sfrenata di sensazioni e apparenza», ossessionata da tecnologie che «hanno aumentato la fatica accelerando il ritmo della vita». Un mondo popolato da individui perennemente incollati allo schermo dello smartphone: «Siamo sempre più comunicazione e sempre meno conversazione, una pratica che appare anacronistica e inutile». Un contesto in cui «il legame sociale,fondato su attaccamenti provvisori, non consente un riconoscimento di sé più intimo e radicale. La velocità produce oblio,fornisce solo intensità, non lascia tracce. Volatilizza spazio e tempo,rende il corpo sempre più passivo. Distrugge il gusto di vivere e la vita in comune».

«Non faccio la morale, descrivo da antropologo» precisa Le Breton,spiegando che per sottrarsi a questa dimensione alcuni individui scelgono di scomparire: «Si ritirano dai ruoli impostigli, come monaci secolari che vogliono rendersi invisibili, liberarsi del fardello dell'io. Fanno una sorta di sciopero dell'esistenza, si rinchiudono nel proprio intimo per cancellarsi da aspettative sociali divenute saturanti. Una ricerca di spersonalizzazione nel mondo del look». Il biancore è,insomma,una paradossale fase di «non vita»: «L'individuo è sospeso,senza progetto e desiderio, né dentro né fuori, in un non-luogo dell'identità».

Chi si rifugia in tale condizione «conserva la vita come fosse una pagina bianca che gli serve a non perdersi, a non correre il rischio di farsi coinvolgere dal mondo».Tra gli adolescenti questo desiderio può concretizzarsi in «cancellamenti di sé» attuati attraverso l'isolamento, l'alcolismo, l'anoressia o «altre forme di vertigine,in cui il giovane sprofonda pur di non doversi più pensare dolorosamente presente nel mondo». Casi di «autismo sociale» spesso temporanei, chiarisce Le Breton, «da cui si può uscire grazie a un amore,al primo impiego, all'attività sportiva o artistica», a tutto ciò che riconduce a un riconoscimento sociale. Al termine della conferenza,la breve e commossa testimonianza di uno spettatore sulla crisi vissuta e superata dal proprio figlio ha dato consistenza di vita al quadro disegnato dall'antropologo.

Esistono tuttavia forme positive di biancore. La scrittura e ogni genere di attività creativa costituiscono «sospensioni felici di sé, che permettono di rallentare per ritrovare il controllo della propria esistenza». E Le Breton — diventato noto ai più con «Il mondo a piedi», il libro che tesseva l'«elogio della marcia» — vede un'opportunità anche nel successo dei"cammini": «La marcia è un modo felice di mettersi in disparte, di prendersi il proprio tempo senza farsene divorare. E un atto di resistenza civica che privilegia la lentezza,l'amicizia,la gratuità... tutti i valori opposti a quelli delle nostre società neoliberali. Apre alla scoperta, alla ricomposizione deiframmenti sparsi dell'io».

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