Cacciari - accolto dal sindaco Gianandrea Telò e dalla direttrice scientifica del festival, Francesca Nodari - ha seguito con scrupolo il filo della riflessione spinoziana sul «desiderium», connettendola alle nostre concrete esperienze di vita e mettendone in luce l'attualità.
L'ha fatto soprattutto nella parte finale del suo intervento, dopo aver messo in chiaro la potenza con cui gli affetti agiscono nella nostra vita. Spinoza parla di «conatus» e «cupiditas», termini che, nella sua visione «sobriamente materialistica», non hanno accezioni negative ma «riportano ai nostri fondamenti biologici». Il «conatus» è l'essenza di ogni ente, ciò che anima tutta la natura: «Lo sforzo di perseverare nel proprio essere in un tempo senza limiti: ogni vita agisce per mantenersi in vita». Se il «conatus» è generale volontà di vita, la «cupiditas» è l'essenza propria dell'uomo, il primo degli affetti, che si esprime in ognuno di noi con «volizioni specifiche», passioni luminose o cupe. L'etimologia del termine ne sottolinea la potenza: può provenire da una radice indoeuropea che rimanda a «un sommovimento profondo dell'animo» o derivare dal latino «capere» e indicare una forte volontà di afferrare.
Così funzioniamo: «Ciascuno appetisce ciò che giudica buono», ovvero ogni essere aspira ad «essere felice, cioè vivere e agire limitando il più possibile ogni condizionamento esteriore». Ma una forza agisce in senso contrario: è il «desiderium» nella particolare visione spinoziana. Non una tensione in avanti ma all'indietro, «il voler possedere una cosa passata, alimentato dal ricordo della cosa stessa ma impedito da altre cause». Un sentire, insomma, più prossimo al rimpianto: «Il desiderium ci fa sempre riconoscere che il passato non torna, neanche i giorni in cui eravamo più forti e potenti. Conatus e cupiditas sono sempre all'ombra del desiderium». Tutti gli affetti, spiega a questo punto Cacciari, rientrano per Spinoza nel campo dell'immaginazione, «che non offre mai idee chiare e distinte». Noi siamo «enti che immaginano», ma da quali forze è guidato oggi il nostro immaginare?A produrlo sono «le grandi potenze del mondo contemporaneo, che esercitano così una forma fondamentale del dominio. Ne nasce un'immaginazione uguale per tutti, che pensa di ottenere il proprio bene attraverso il godimento di una cosa». Questa immaginazione ne produce una complementare: «C'è sempre un vicino che ha più di noi. Dilagano risentimento e invidia, affetti capaci di distruggere qualunque comunità».
È qui che Cacciari fa appello, con Spinoza, alla potenza dell'amore, «la forma di cupiditas più collegata alla mente e alla ragione», la più libera e disinteressata, capace di scioglierci dalla «schiavitù delle immagini». Non solo nella vita privata, ma anche in quella pubblica: ogni democrazia dovrebbe essere rivolta alla cupiditas amorosa, sollecitare gli affetti che avvicinano alla mente e alla ragione, se non vuole vedere disgregarsi le relazioni trai suoi cittadini.
Il discorso può spingersi oltre, verso vette e aperture più complesse. L'amore così inteso conduce a vedere ogni cosa «sub specie aeternitatis», «toglie all'ente ogni carattere di contingenza»: «Ogni atto d'amore implica un tempo indefinito, perché la conoscenza di ciò che amo non sarà mai compiuta». Così è per la grande filosofia, ispirata dall'amore «per qualcosa che non cercherò mai di possedere».
// «Oggi dilagano risentimento e invidia, affetti capaci di distruggere una comunità» Massimo Cacciari Filosofo