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Giovedì, 20 Giugno 2024 18:03

«CERCHIAMO GLI ANTICORPI ALLA SOCIETÀ DELLA POST-VERITÀ»

«Contro l'affermazione dell'io educhiamo all'emulazione dei gesti positivi» - Stefano Zamagni «Contro l'affermazione dell'io educhiamo all'emulazione dei gesti positivi» - Stefano Zamagni

Abbiamo tutto ma siamo infelici. Secondo le ultime rilevazioni del Censis, il 66,2% degli italiani dichiara di non vivere bene nella società attuale. Tra loro il 72% sono giovani, convinti di non contare nulla. Dilaga l'individualismo, crollano entusiasmi e desideri: alla «bulimia dei mezzi» fa da contrappeso l'«anoressia dei fini».

Un quadro preoccupante, ma che non sarebbe impossibile modificare secondo Stefano Zamagni: il noto economista ne ha parlato martedì sera a Filosofi lungo l'Oglio - la rassegna diretta da Francesca Nodari, dedicata quest'anno al desiderio - ospite, nell'affollato cortile del castello di Dello, del sindaco Riccardo Canini. Zamagni è stato, tra l'altro, presidente dell'Agenzia per il Terzo settore e, dal 2019 al 2023, della Pontificia Accademia delle Scienze sociali. Sa raccontare in modo accattivante come le scelte economiche influiscono sulla mentalità e gli umori più profondi della società: quella postindustriale in cui viviamo, modellata dalla «rivoluzione digitale» a partire dagli anni '70 del Novecento.

La prima rivoluzione, quella industriale, aveva generato la «società dei consumi»: «Il desiderio cominciò a essere incentivato: le imprese dovevano vendere e la gente consumare perché il meccanismo non si inceppasse». La filosofia teorizza il «principio di utilità», formulato da Cesare Beccaria nel celebre «Dei delitti e delle pene» del 1764 e reso universale da Jeremy Bentham nel 1789: «La felicità a cui l'uomo aspira viene assimilata all'utilità, e per massimizzare l'utilità bisogna aumentare il tasso dei consumi».

Con l'avvento della società postindustriale, questo paradigma comincia a rivelare i propri anticorpi: «Il primo di essi è la distruzione dell'ambiente, denunciata dal Club di Roma fin dal 1972. Il consumo, tuttavia, non può interrompersi: comincia il cosiddetto neoconsumismo, la decelerazione dei consumi in Occidente e la loro estensione al resto del mondo». Anche questa fase trova la sua legittimazione filosofica: «Il singolarismo, elaborato in California nei primi anni '90, porta al limite estremo l'individualismo nato con la Rivoluzione francese, che metteva l'individuo al centro della realtà, ma in quanto appartenente a qualche genere di comunità. Il singolarismo, invece, nega ogni appartenenza: l'io per realizzarsi non deve avere collegamenti con nessuno, ma solamente rapporti di scambio». È percorrendo questa via che l'«homo consumans» ha preso il posto dell'«homo desiderans»: «Gli influencer, la moda dei tatuaggi... sono tendenze che nascono perché ognuno deve differenziarsi dagli altri, realizzare il proprio potenziale». Ma si diffonde anche un profondo sentimento di solitudine, conseguenza di quella che lo psicoanalista Luigi Zoja - che domani sera riceverà a Ospitaletto il Premio internazionale di filosofia «Filosofi lungo l'Oglio. Un libro per il presente» - ha chiamato «morte del prossimo». Se ne accorgono anche gli economisti: un premio Nobel, Angus Deaton, ha dedicato un libro ai «Morti per disperazione».

Dominante nei rapporti diventa spesso la «rivalità mimetica», «il desiderio di distruggere l'altro per affermare il proprio io: è la radice anche delle guerre in corso». Un grande pericolo, infine, viene dalla cosiddetta post-verità: «Far credere cose che non corrispondono alla realtà, manipolando i bisogni dei cittadini e modificandone le mappe cognitive».

Qualcosa si potrebbe fare per invertire la rotta, e l'onere spetta ancora una volta alla scuola e alla cultura. Zamagni esorta a «educare il desiderio», favorendo lo sviluppo di quel «desiderio mimetico» che spinge all'emulazione dei gesti positivi. «Come impostare un progetto educativo del desiderio? È una grande questione che i pedagogisti non affrontano. Non servono proibizioni e divieti, ma modelli di comportamento che possano essere adottati». Anziché «dei delitti e delle pene», insomma, bisogna parlare di più «delle virtù e dei premi»: come già nel 1766, in polemica con Beccaria, invitava a fare il giurista aquilano Giacinto Dragonetti.

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