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Domenica, 20 Novembre 2022 04:57

CERCARE UN SENSO AL VALORE DEL TEMPO

Emmanuel Lévinas Emmanuel Lévinas

In quali termini è possibile stabilire un rapporto con la realtà oggettiva del tempo, senza essere condizionati dalla propria esperienza soggettiva? Come può il tempo scandire così intimamente ogni attimo della nostra esistenza, pur restando al di fuori di essa, nella sua irriducibile «alterità trascendente»?Sono questi gli interrogativi fondamentali, dai quali prende avvio il saggio di Emmanuel Levinas, intitolato Il tempo e l'altro, recentemente riproposto dalla casa editrice Mimesis, in una nuova edizione che si avvale di una preziosa e illuminante postfazione a cura di Francesca NodariAl volume raccoglie i testi di quattro conferenze, tenute tra il 1946 e il 1947, durante il primo annodi insegnamento al Collège Philosophique di Parigi, in cui il pensatore franco-lituano anticipa i risultati filosofici che saranno al centro delle opere successive, a partire da Totalità e Infinito, e che costituiranno l'orditura concettuale di tutto il suo pensiero. L'obiettivo dichiarato in questo volume è quello dimettere in discussione l'impianto tradizionale dell'ontologia occidentale, ritenuta incapace di salvaguardare l'intima identità del soggetto, da un lato, e la necessaria apertura all'evento dell'alterità, dall'altro.

Nella riflessione levinasiana dell'immediato dopoguerra, il tempo appare come unica via di fuga dalla solitudine lacerante di un io ripiegato sulla propria posizione. Un io che altrimenti resterebbe imprigionato in un esistere intransitivo «senza porte né finestre», e perciò asservito alla cura di sé, alla materialità del proprio orizzonte di riferimento. Nel tempo, l'uomo può invece comprendere finalmente l'urgenza di doversi muovere in uno spazio più ampio, dove l'uscita dal proprio confine di pensiero diventa liberazione e incontro autentico con l'alterità: «Lo scopo di queste conferenze si legge come incipit del saggio consiste nel mostrare che il tempo non fa parte del modo d'essere di un soggetto isolato e solo, ma è la relazione stessa del soggetto con altri [autrui]».

Vivere autenticamente nel mondo afferma Levinas in passaggi di grande tensione speculativa implica il coraggio di sapersi sottrarre all'anonimato di un'esistenza impersonale ed evanescente, imprigionata in un presente incapace di ospitare l'eredità del passato e l'inconoscibilità dell'evento futuro. Significa, soprattutto, scendere nei meandri più profondi della sofferenza, giacché solo attraverso il dolore è possibile accogliere l'evento di un qualcosa che sappia trascendere il proprio orizzonte conoscitivo di relazione. Attraverso la sofferenza, infatti, l'uomo entra in prossimità con la morte: espressione di un mistero che non può in alcun modo essere svelato, né tanto meno assunto su di sé.

Se l'essere per la morte in Heidegger è concepito come «la possibilità più propria dell'esserci», in Levinas, all'opposto, la possibilità della morte getta l'uomo in una dimensione di oscurità, rendendolo dunque inerte di fronte a ogni possibile identificazione con essa. Tuttavia, solo colui che, nella solitudine della propria sofferenza percepisce «la possibilità dell'impossibilità» di una relazione con la morte, può comprendere il valore autentico del tempo. La morte si dispiega, infatti, come l'annuncio di un avvenire di cui non è possibile appropriarsi, come l'approssimarsi di un evento che espropria il soggetto di ogni potere sulla propria vita. Allo stesso modo del tempo, la morte, in quanto mistero, impossibile da anticipare, impossibile da svelare nella dimensione rassicurante del presente, diviene il simbolo dell'irriducibile alterità.

Si prospettano, a questo punto, altri, e ancor più stringenti, interrogativi. Se la morte è concepita come alienazione della mia esistenza, potrà mai essere la mia morte? Come relazionarsi con l'avvenire di un evento che accade senza possibilità alcuna di poterlo accogliere? Per ovviare a questo impasse, nelle ultime suggestive pagine del suo saggio, Levinas spiega che l'avvenire offerto dalla morte non è in realtà ancora il («mio») tempo: «perché, per divenire un elemento del tempo [....], questo avvenire che l'uomo non può assumere, deve tuttavia entrare in relazione con il presente». Questo processo, che possiamo descrivere come «sconfinamento del presente nell'avvenire», non appartiene «al modo d'essere di un soggetto solo», bensì nasce dalla «relazione intersoggettiva. La condizione del tempo sta nel rapporto fra esseri umani».

Per «vincere» l'estraneità del mistero dell'avvenire di cui la morte è espressione (e perché la stessa mia morte acquisti un senso), è dunque necessario che tale estraneità venga vissuta in un presente del tutto nuovo, non intransitivo, capace di aprirsi all'alterità d'altri. Levinas introduce dunque il concetto di «relazione con altri» per spiegare l'incontro con il volto dell'altro, e rintraccia specificatamente nel legame erotico-amoroso con il mistero della femminilità la realizzazione concreta dell'accadere del tempo e di quella interazione straordinaria che avviene quando l'io può finalmente aprirsi all'alterità più radicale, pur rimanendo se stesso. Questo evento dell'incontro con altri spezza dunque la solitudine dell'io, e diventa accoglienza amorosa, carezza, fecondità, relazione autentica con quell'altro che, «pur essendo altri, è me»



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