Lévinas intende abbozzare una radicale fenomenologia dell'alterità e della trascendenza, in cui il tempo, in opposizione a Heidegger, non è l'orizzonte ontologico dell'essere dell'essente, né una degradazione dell'eternità, ma modo della relazione con altri, "con ciò che, di per sé inassimilabile, non si lascia assimilare dall'esperienza". Non è un discorso sociologico e nemmeno antropologico quello che il filosofo vuole condurre:è un itinerario ontologico in cui la condizione originaria dell'uomo è una radicale solitudine,che dipende dalla sua relazione indissolubile, non scambiabile, con il proprio esistere. Questa solitudine è sovranità e libertà; ma è anche assenza di tempo, quotidianità in cui il soggetto è costretto a occuparsi di se stesso, inchiodato in uno stato in cui ogni slancio esteriore ricade sudi sé.
Come rompere questo solipsismo? Attraverso la sofferenza,in cui l'uomo sperimenta tutta l'irrevocabilità del proprio esistere,l'uomo vaga in prossimità della morte,entra in rapporto con l'Altro,sosta sulla soglia di un Mistero che non può mai assumere in sé. La morte spoglia infatti il soggetto di ogni potere, è inconoscibile, inafferrabile, è l'avvenire. Questo evento d'incontro con un'alterità assoluta spezza la solitudine dell'io. Il tempo è dunque questa relazione con altri, sempre asimmetrica,irreciproca,in cui il presente dell'io non coincide mai con l'avvenire dell'altro, ma in cui tuttavia s'apre lo spiraglio di un rapporto personale.
Suggestive poi le pagine che Lévinas, nell'ultima conferenza, dedica ad alcune figure di questo rapporto con altri: in primis il mistero della femminilità, in cui l'alterità apparirebbe nella sua purezza. Essa è ciò che,entrando in relazione con il suo correlativo, rimane assolutamente altro; non si confonde nel maschile ma anzi,la sua alterità,segnalata dal pudore,ne è rinforzata. Quindi la paternità, relazione con un estraneo che "pur essendo altri, è me",autentico compimento per il soggetto della libertà e del tempo.