Per chi legga oggi quelle lezioni (Il tempo e l'altro, a cura di Francesca Nodari, Mimesis), resta colpito dal contenuto e dallo stile argomentativo. Ritornano sì echi esistenzialisticinei capitoli sulla solitudine, l'esistere e l'esistente, nel confronto con Essere e tempo -, ma nell'orizzonte di un'autonomia teoretica dell'autore. Il tempo è visto sì nella sua enigmaticità, ma soprattutto nella sua positività: il tempo è costitutivam ente relazione con l'altro. Nella sua fecondità, lungi dall'essere fonte di angoscia, il tempo istituisce la socialità: nella vita quotidiana, nel lavoro, facendo esperienza della sofferenza e della morte, nell'eros, dove la temporalità è, attraverso la paternità, con-crescita con l'altro. Gli altri, lungi dall'essere il sartriano inferno, sono la condizione per la rivelazione prima del proprio esistere.
Si leggano le pagine sull'evento e l'altro: autrui è scritto minuscolo perché sta a dire la pluralità costitutiva del mondo. Nelle opere della maturità, nota Nodari nella Postfazione che tiene conto degli inediti nel frattempo pubblicati, Autrui si caricherà di una inflessione teologica e si scriverà maiuscolo, disvelando la radice ebraica del pensiero levinasiano.
L'originalità di Lévinas sta nell'avere guadagnato lo spazio dell'«Etica come Filosofia prima» la sua rivoluzione copernicana scavando nell'immanentismo delle filosofie di Husserl e Heidegger, e scoprendo tracce di Trascendenza. E questo a partire dal tempo: nella temporalità il soggetto fa esperienza della Trascendenza, rispetto a sé, attraverso gli altri, verso l'Altro. A ben vedere anche in queste pagine c'è una tessitura giudaica, per esempio nell'attenzione cassidica alla prosaica quotidianità (si vedano i paragrafi sugli alimenti o sulla carezza), dove il respiro della vita nonostante la catastrofe appena attraversata si riafferma. Questo è Lévinas: le radici ebraiche sono fonte di respiro per il pensiero, che diviene universale perché non lo dimentica anche nel deserto di ghiaccio del filosofare.