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Lunedì, 28 Giugno 2021 00:20

Connessi con tutto tranne che con la morte, così il tornado del Covid ci ha scoperchiati.

Manifesti funebri, necrologi, addii in streaming: Asher Colombo analizza il lutto durante la pandemia. La società abitata da individui sani, longevi e normodotati aveva rimosso la caducità prematura.

Tra le due "cose naturali" per definizione, i due eventi che scandiscono l'esistenza, la nascita e la morte, c'è - lo sappiamo da sempre - un legame indissociabile: ovvero la stessa biografia umana che porta con sè vicende e scelte, crescita e crisi, fratture e relazioni. Queste ultime incidono profondamente sulla formazione dell' individuo nello sgranarsi della vita, così come nella fase del suo esaurirsi. Durante la pandemia, che ha sconvolto così radicalmente le nostre società, si è realizzata una diversa prossimità, se non una vera e propria promisquità, con il fatto del morire, come mai era accaduto prima.

Avere a che fare con la morte significa - non sembri una tautologia - avere a che fare con i morti, si può dire, in carne e ossa: e, come insegna Aldo Capitini, prendere in considerazione la "compresenza tra i morti e i viventi". Per il filosofo, questa era una condizione che perdurava e implicava una certa nozione di trascendenza. Qui la si può intendere come quello spazio e quel tempo del lutto, rimpiccioliti e ridefiniti dall' epidemia, che accompagnano il decesso dei propri cari, accelerando e deformando l'intera dimensione del cordoglio. E' in questa fase che i vivi, per riallacciare il filo che non c'è più, da sempre celebrano riti (laici e religiosi) e richiamano simboli, tutti legati alla "crisi della presenza" (Emesto De Martino in La fine del mondo).

Su ciò aiuta a riflettere il bel libro di Asher Colombo, La solitudine di chi resta. La morte ai tempi del contagio. L'autore, docente di sociologia a Bologna e presidente dell' Istituto Cattaneo, ha scritto un saggio originale e intelligente, utile a comprendere gli effetti che il Covid ha prodotto sulle pratiche funebri e, ancor prima, sulle credenze e gli atteggiamenti dei contemporanei verso la morte. Facendo ricorso a una pluralità di fonti, anche innovative, Colombo raccoglie pezzi di storie, corroborati da grafici e dati, per mettere in luce tali cambiamenti: riporta le interviste a medici e impresari funebri, a sacerdoti e a giornalisti: analizza gli annunci mortuari, i necrologi e i manifesti murari; elabora i dati sulle procedure di inumazione e cremazione; in conclusione, studia il rapporto degli italiani con la morte nel corso della pandemia.

E scopre, così, il manifestarsi di un congedo irrecuperabile: le drastiche misure adottate al fine di contrastare il contagio hanno causato l'interruzione delle consuetudini più diffuse cui si ricorre per affrontare la perdita. La morte di un proprio familiare "in una stanza di ospedale, la negazione dell' ultimo saluto, l'annullamento del rito funebre, la frettolosa sepoltura" costituiscono i fattori di crisi di rituali sociali fondamentali.

Inizialmente, l'autore sintetizza i termini della transizione demografica e della concezione della morte, antecedenti il tempo del confinamento, per seguire l'evoluzione della cultura funebre in Italia nel corso degli ultimi decenni. Nelle società del passato, la morte era immediatamente irriconoscibile perchè avveniva per strade, nelle case o, più raramente, nelle tricee; in seguito, nell'Italia postbellica, la morte venne collocata negli ambiti della scienza e della medicina e, circondata da una nuova ritualità. Da allora si sono diffuse pratiche inedite: il corpo del morto è stato allontanato dagli occhi dei vivi; il trattamento del cadavere e la sepoltura sono diventati servizi erogati da agenzie e imprese; lo scambio tra i defunti e i sopravvissuti ha contratto "un nuovo patto tra le generazioni" (ad esempio, sono i morenti a dare disposizioni per il funerale e cambiano le stesse modalità di trasmissione della memoria). Tutto ciò ha rafforzato l'idea che anche solo parlare della morte possa mettere a rischio l'equilibrio e, di conseguenza, l'incolumità psichica collettiva. La visione, interiorizzata a livello di massa, di una società abitata da individui sani, longevi e normodotati ha prodotto un grande rimosso: quello della fragilità e della caducità, e, dunque, della finitezza della vita umana.

Anche a causa di una simile falsa rappresentazione, le comunità si sono trovate impreparate ad affrontare eventi drammatici come quelli che hanno scosso le nostre organizzazioni sociali negli ultimi 16 mesi. Si tratta di una impreparazione innanzitutto emotiva, che parte dal profondo e rende il dolore intollerabile, perché non solo imprevisto, ma anche estraneo, “straniero”, rispetto a ogni scenario possibile e pensabile. La cancellazione del “piano collettivo”, essenziale per rendere palpabile il legame con i propri morti, ha procurato una lacerazione insanabile.

E’ qui che entrano in gioco alcune nuove e incerte pratiche sociali che percorrono le pagine più commoventi e, osiamo dire, più fiduciose. Il congedo dai morti si inserisce in una tragedia collettiva, in qualche modo condivisa. I necrologi non sono più semplici annunci, ma esprimono questa “crisi del commiato”: molti evocano la rassegnazione e il rimpianto; alcuni parlano del decesso come esito di una scelta destinata a limitare la sofferenza di chi resta; altri ancora immaginano una dimensione trascendentale di incontro tra chi muore e chi sopravvive. A tali forme di “connessione” tra la vita terrena e un aldilà, in genere mai meglio identificato, se ne aggiungono ulteriori, promosse da alcuni e disdegnate da altri, tra cui la pubblicazione di foto e commenti sui social dei defunti; o la condivisione in diretta streaming dei riti funebri per ovviare ai limiti imposti dal contagio. Infine, i muri delle località minori (quartieri e paesi), sono stati coperti, per mesi, da messaggi dedicati a quei morti che non hanno potuto ricevere un applauso davanti alle chiese o una pubblica benedizione.

La forza della resistenza dei vivi nel carcere ( riscoprire o inventare) il contatto con i propri morti può trovare ascolto e ricevere sostegno da parte di chi, per professione, “accudisce” i cadaveri. Alcuni funzionari delle camere mortuarie hanno scelto deliberatamente di ricavare spazi per le salme dove accogliere i familiari; o hanno selezionato i body bag bianchi, anziché neri, per “aiutare ad alleviare emozioni intime negative” (da un’intervista a una responsabile di un obitorio); o, ancora, hanno aperto la cerniera del sacco del defunto per permettere ai parenti di rivolgere l’”ultimo sguardo”. Negli ospedali, medici e infermierihanno fornito i propri numeri di telefono per informare i parenti dei ricoverati e hanno avvicinato il cellulare all’orecchio del paziente per fargli ascoltare il saluto dei nipoti. I quotidiani locali hanno riempito le pagine con i nomi delle vittime per evocare le loro storie e tenerle vivide nella memoria collettiva.

I veri protagonisti di questo libro, a ben vedere, sono i gesti umani che, tutti, sembrano esprimere più o meno consapevolmente una sorta di nostalgia del connotato, per così dire, religioso della “cerimonia degli addii”



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