In che modo Israele può aiutare l’Europa e gli europei nella gestione della paura e del trauma da attacchi terroristici?
«Israele è la dimostrazione che anche nelle situazioni più tragiche, la Shoah lo è stata in modo estremo, si può reagire positivamente, scegliendo la vita e il bene proprio e altrui. Avendo dovuto fronteggiare gli attacchi della Lega Araba sin dal 1948, Israele è un laboratorio per la gestione e l’elaborazione dei traumi collettivi e individuali, avendo saputo creare, pur nelle difficoltà, un tessuto di legami sociali volto a contenere l’angoscia e a dare senso alla vita».
Valori forti che in Europa sembrano smarriti…
«È vero, ma si deve costruire una visione positiva del futuro imperniata sui valori della libertà ma anche del principio di responsabilità verso le generazioni che verranno. L’Europa dei prossimi anni dovrà affrontare i problemi che Israele affronta da decenni».
Sì ma Europa e Israele sono due entità molto diverse.
«Vero, ma le dimensioni più grandi dell’Europa sono un grande vantaggio. Facendo sua la lezione israeliana, l’Europa si potrebbe attrezzare meglio di fronte a pericoli su cui per lungo tempo ha preferito chiudere gli occhi».
Come si fa a gestire un processo così difficile?
«Sul piano della prevenzione bisogna rafforzare l’intelligence. Sul piano dei valori rifondare il concetto di dovere e responsabilità. La costruzione di valori condivisi, che non sono solo benessere e divertirsi bensì il futuro dei nostri figli, il rispetto delle regole, i diritti e i doveri, la costruzione di una solida rete di sicurezza».
Dovremo abituarci a controlli pervasivi e metal detector?
«Sì ma rispettando il diritto, l’habeas corpus, non per distruggere qualcuno ma per salvare i nostri figli. Un cambio di abitudini sarà necessario così come dovremo ripensare la nostra vita».
Ma i governi Ue sono pronti?
«Purtroppo no. Il silenzio con cui l’Europa ha assistito alle stragi di yazidi, cristiani ed ebrei indica l’incapacità di capire che quella realtà preannunciava quello che sarebbe accaduto dopo. Per non parlare dell’atteggiamento giustificazionista che c’è nella retorica sulle cause del terrorismo, indicandole nella povertà, nella mancanza di prospettive per il futuro e nelle colpe del colonialismo».
Invece non è così?
«L’Europa non riesce a capire che il terrorismo è il prodotto di una visione del mondo non di un disagio sociale. Esso è la traduzione della visione nichilista che, dall’interno del mondo islamico, sta provocando catastrofi per le popolazioni arabe e islamiche. Stiamo assistendo a un collasso sistemico che viene da lontano e che per lungo tempo non si è visto o non si è voluto vedere per colpa della narrativa terzomondista che ha focalizzato su Israele e Palestina l’insieme dei problemi che non sono mai stati risolti dalla prima guerra mondiale in poi. E che oggi vengono a galla tutti insieme, essendo venuta meno la divisione del mondo in blocchi».