Sorprendendo tutti, rivede il titolo del suo intervento, che inizialmente era «Donna oggetto», estendendo il concetto di cosificazione all’essere umano. È una filosofa che non si sottrae alla fatica del pensiero,Marzano,e preferisce offrire una pista d’indagine ancor più penetrante. Si può parlare, e se sì quando, di un essere umano ridotto a cosa? Quale legame intercorre tra desiderio, possesso e amore? Come è possibile restare oggetto d’amore, essendo al tempo stesso oggetto di desiderio? Il ritmo incalzante degli interrogativi esige una premessa: «Occorre ricordare - dice la filosofa -che non siamo ancora usciti dal vecchio dualismo che ha attraversato il pensiero occidentale: quello tra anima e corpo. Dualismo che ne annuncia unaltro, di natura gerarchica,che rinviene nell’uomo l’elemento positivo, coincidendo questo con l’anima, e nella donna il negativo,rappresentando questa ilcorpo. Il fatto è che non si ha semplicemente un corpo, ma lo si è. I due aspetti non possono essere scissi».
Marzano ricorda il fotografo Lagerfeld e la sua infelice battuta su una modella definita un mero «oggetto di lusso». Un rischio, quello dell’oggettivazione, cui si è esposti ogni volta che ci si trova in una relazione. Sia essa amicizia (philìa), carità (agápe), desiderio (eros). Esattamente i tre concetti che rientrano nella complessa sfera dell’amore. Marzano distingue tra l’appagamento di un bisogno soddisfatto,e la tensione infinita del desiderio. Un prurito temporale direbbe Levinas. Eppure nel desiderio come nella carità o nell’amicizia il pericolo della riduzione dell’altro a cosa è reale. Così come è innegabile che, nell’amore, si dianotanto la volontà del volere bene all’altro quanto il bisogno di possesso.
«L’amore -aggiunge Marzano- è difficile perché tutto si mischia: emozioni, passioni, ragioni, fantasmi. Aspettative. Qui sta il problema: affinché l’altro possa mantenere la propria soggettività, non basta che se ne eviti la reificazione attraverso il possesso, ma occorre evitare di idealizzarlo, riducendolo, per altra via, da persona a cosa». Dentro ciascuno di noi abita un «bambino a pezzi», poiché la mancanza che patiamo è di carattere ontologico.La fragilità insomma come cifra dell’umano.