Tra i relatori di oggi (appuntamento alle 15 in piazzale Re Astolfo, a Carpi) ci sarà Vanni Codeluppi - ordinario di Sociologia dei consumi all’Università di Modena e Reggio Emilia -, che ci anticipa i tratti salienti della sua lectio, incentrata sulla «vetrinizzazione».
Prof. Codeluppi, che cos’è la vetrinizzazione sociale e in che termini la si può far assurgere a paradigma della nostra società dei consumi?
Dal Settecento, il processo di vetrinizzazione si sta potentemente sviluppando in tutti i principali ambiti della società, col risultato che ogni cosa viene «vetrinizzata », ossia messa in scena e spettacolarizzata, e la realtà viene trasfigurata attraverso le sue infinite rappresentazioni. Così come la merce in vetrina è sempre esposta, allo stesso tempo anche gli individui, che hanno appreso questo modello dalla merce, si sentono sempre più sotto la luce dei riflettori.La cultura borghese divideva nettamente tra lo spazio pubblico, del lavoro e della vita sociale, e lo spazio privato, lo spazio dell’intimità e degli affetti. Noi, invece, tendiamo sempre più a vivere in pubblico anche i nostri sentimenti, probabilmente perché i media consentono di attribuire una patentedi verità ai diversi momenti dell’esistenza. Ciò che accade oggi è che le persone sembrano sempre più vivere all’interno di una specie di reality. Hanno adottato, infatti, a partire dagli anni Novanta, il modello introdotto da tale genere televisivo, il quale funziona soprattutto perché la vita in esso rappresentata appare più convincente della vita vera.
Nel Suo saggio «Tutti divi» (Laterza 2009) ha mostrato come l’aspetto inedito del divismo contemporaneo,se paragonato con quello hollywoodiano, è il livello di identificazione dei fan con i propri beniamini. Quali sono le ripercussioni sulla nostra società?
La figura del divo è stata inventata dal cinema hollywoodiano negli anni Dieci del Novecento, ma negli ultimi decenni ha visto crescere il suo livello di importanza e di visibilità sociale. E per molte persone il divo tende ad essere oggi come una specie di «protesi della mente». In una situazione sociale di crisi culturale e di mancanza di punti di riferimento come quella attuale, tutti vogliono sentirsi almeno per qualche tempo come i divi, chesono abituati a vivere sotto i riflettori e possono, nel contempo, godere di una vita piena di lussi e privilegi. Il divo hollywoodiano era un oggetto di ammirazione, ma era anche vissuto come un essere lontano. Con il divo di oggi, invece, si sviluppa facilmente un processo di identificazione. Ma credo che attorno a questo vi sia una grande ideologia: quella della partecipazione. Partecipare non vuol dire avere un reale potere. Il potere sta ancora dalla parte dei divi, delle marche e dell’industria culturale.
Infine, per riprendere il titolo di un suo saggio, in cosa consiste «Il potere della marca»?
La marca opera solitamente dando vita ad un mondo comunicativo e lo fa prendendo dei valori esistenti nella cultura sociale per rielaborarli e utilizzarli secondo le sue necessità. Cioè per realizzare attorno ad essi un immaginario simbolico seducente e coinvolgente agli occhi dei consumatori. Impiega a tale scopo numerosi strumenti di comunicazione e fa ricorso soprattutto alla pubblicità.Un settore esemplare,da questo punto di vista, è quello sportivo, che sta facendo da apripista per le marche degli altri settori. L’ambito sportivo, infatti, investe da alcuni decenni moltissime risorse in comunicazione per operare con efficacia nei confronti dei giovani consumatori.