Ci sono opere, nella storia del pensiero, che al loro apparire si sono imposte come un nuovo paradigma. E persino il titolo permette di rintracciare affinità inattese tra pensatori per lo più considerati diversi. Al punto da costringere i manuali di filosofia a ridefinire i propri indici.
È il caso del libro di Bernhard Casper,«Ilpensiero dialogico.Franz Rosenzweig, Ferdinand Ebner, Martin Buber». Pubblicato nel 1967, in edizione rivista nel 2002 e tradotto dalla Morcelliana nel 2009, è divenuto da subito un classico, perché, per la prima volta e con rigore, analizzava filosofi inconsapevolmente uniti dal tentativo, per vie diverse, di tematizzare il problema del dialogo.
Dialogo tra gli uomini,ma anche, e soprattutto, con il Tu divino. Se nel capolavoro di Rosenzweig, «Stella della redenzione », Casper individua nella temporalizzazione ebraica della verità quel che collega Dio, il mondo e l’uomo- in Ebner,sconosciuto maestro austriaco autore dei «Frammenti pneumatologici», al centro sta la parola come medio nel quale l’uomo esperisce il suo essere insieme mortale e partecipe di ciò che lo trascende. In Buber, l’autore di «Io e Tu», il tema sempre ebraico della verità come fiducia diviene ascolto di un Dioche nei racconti degli uomini traccia l’alleanza.
Ma la mossa teoretica di Casper, oltre che nella puntuale disamina degli autori, è consistita nel delineare i tratti costitutivi del pensiero dialogico: riflessione di esseri finiti che - contro ogni idolatria di un assoluto mondano, sia essa speculativa o ideologica - trovano nel dialogo la cifra della propria destinazione ultima. Il singolo vive nelle parole degli altri;una ricerca mai finita,anche perché un terzo interlocutore è in gioco: quel che sta per il nome di Dio, da sempre vicino ma inafferrabile nel linguaggio.
La verità è questo intrecciarsi di parole e tempo: un tempo insieme terreno e religioso, proprio perché in ogni atto linguistico è inscritta la promessa di un’intesa, che per chi crede è promessa escatologica. Di qui la rilevanza inter-religiosa di questo paradigma:le religioni scacciano la tentazione fondamentalista - che Casper, sulla scia del suo maestro Bernhard Welte, vede sempre in agguato - solo se ogni confessione riconosce il carattere finito delle proprie credenze, e quindi delle proprie parole: solo una sinfonia futura potrà pronunciare il nome di Dio. Una sinfonia sempre a venire.
Non è forse un caso che dopo questa opera Casper abbia posto al centro della riflessione il dialogo con Levinas e insistito sulla preghiera come evento centrale dell’esperienza religiosa. Levinas perché ha fatto dell’enigma dell’Altro la cosa stessa della filosofia, la preghiera perché è un modello del dialogo: l’Altro che invoco mi dona, nella sua lontananza, i cenni di un’intesa. Un dialogo plurale, mai compiuto - almeno in questo mondo.