Il grande etnologo francese – accolto da Francesca Nodari, direttore scientifico del Festival, e dal vicepresidente dell'associazione «Filosofi lungo l'Oglio», Giovanni Marchini – ha parlato con dolcezza dell'umano desiderio di felicità, condizione individuale «intensa e fragile», che trova spesso collocazione in uno stereotipo: «La casetta di "due cuori e una capanna", il più diffuso, modesto e ambizioso degli ideali. Implica infatti che la ricetta della felicità sia a portata di mano, se si rinuncia alle ambizioni per l'essenziale: amore, amicizia, sobrietà».
Un ideale che ovviamente «molti sono lontani dal raggiungere», utilizzato oggi più che altro dalla pubblicità che, per rendere appetibili molti prodotti, propone «immagini di sedentarietà felice ideate per scongiurare la paura della solitudine e della morte». La felicità però non è sedentaria, «ha a che fare con lo spazio»: e con una bella immagine Augé descrive i migranti dei nostri giorni come «i veri avventurieri del mondo contemporaneo», animati da quella «promessa di felicità possibile che spinge molti a mettersi in cammino». Portatori, come ogni viaggiatore, di «una poesia che si lega al sentimento dell'attesa»; e destinati a «suscitare il dubbio sulle virtù della sedentarietà: la felicità sedentari non è accogliente e spesso rifiuta in nuovi arrivati, anche se la pretesa di essere "a casa propria" nel mondo globalizzato diventa ogni giorno meno sensata».
Se l'aeroporto è il tipico «non luogo» in cui galleggiano i sogni del viaggiatore, ciò che Augé definisce come «luogo» non è necessariamente ambito di felicità. «Il luogo è uno spazio nel quale si possono decodificare le relazioni sociali che vi si inscrivono, i simboli che uniscono gli individui e la storia che è loro comune». Nel «luogo» domina la relazione: «L'aspirazione alla perfezione sociale limita la felicità individuale, come ho verificato presso molte tribù africane in cui c'è intimità vicendevole e sorveglianza reciproca tra individuo e società».
Il uno dei suoi libri, «Perché viviamo?», Augé scrive che «l'individualità, come la felicità, è un'ipotesi, mai pianamente verificata, che si costruisce faticosamente con l'aiuto degli altri». Ieri ha ribadito che «l'individualità e la libertà assolute sono impensabili. Sono una follia, tanto quanto un insieme di relazioni imposte». Nella ricerca della felicità conta anche la natura delle relazioni che instauriamo. «Oggi pensiamo che ci sia meno solitudine grazie alla tecnologia. La tv ci fa credere di conoscere i grandi della terra, internet di essere in relazione col mondo intero. Ma la maggioranza degli esseri umani non ha accesso a queste tecnologie, molti poi ne fanno un uso solamente ludico, infine la natura di questa relazione è problematica e indefinita». Anzi, non è altro che «una promessa di relazione».
Augé vede in Stendhal «il cantore degli istanti di felicità che passano per l'intuizione dell'amore condiviso, in luoghi che diventano emblematici: gli eroi fanno dello spazio un luogo d'incontro in senso pieno». La loro felicità, come la nostra, è un sentimento individuale: «Niente – conclude Augé – è più temibile della promessa di rendere i popoli felici. Il diritto alla felicità è il primo dei diritti individuali: la politica deve renderlo possibile, non realizzarlo o imporlo».