Desiderare è una qualità essenziale della persona, la portiamo dentro di noi come una pulsione, un sentimento intimo che scaturisce dal profondo ma domanda di essere governato. Occorre quindi un'opera di discernimento, a «partire dall'uomo che desidera per portarlo ad essere un uomo che sa desiderare, che è consapevole di ciò che desidera».
Il tema "Desiderare" è il filo rosso della 19' edizione del Festival "Filosofi lungo l'Oglio", in corso fino al 24 luglio in 21 diverse località delle province di Brescia, Bergamo e Cremona. Tra queste Lonato del Garda che lo scorso 20 giugno ha ospitato nella basilica di San Giovanni Battista il monaco Enzo Bianchi, noto per aver fondato la comunità monastica di Bose e che oggi vive nella "Casa della Madia", fraternità monastica ad Albiano d'Ivrea (Torino) a cui egli stesso ha dato vita nel settembre dello scorso anno.
«Non appena Francesca Nodari (direttore scientifico della Fondazione Filosofi lungo l'Oglio di cui Bianchi è componente del comitato scientifico, ndr) mi ha annunciato il tema delle varie conferenze e mi ha detto di pensare a un titolo per il mio intervento, subito, spontaneamente ho detto sì, "Non desiderare"». Se per tanti secoli la spiritualità, la cultura, l'educazione hanno diffidato del desiderio, reprimendolo (soprattutto quello sessuale), nell'epoca attuale si assiste invece a un approccio più positivo ed equilibrato, a un invito a risvegliare il desiderio che è in noi. «Ma dobbiamo anche chiederci se è sempre bene desiderare, che cosa è bene e che cosa invece non è bene desiderare». Del resto «l'animale che è in noi si esprime attraverso il desiderio», ha affermato Bianchi. E ciò avviene in tre dimensioni: la fame, la sessualità e l'amore che esprime la volontà di relazione con l'altro, di non essere soli. In fondo questi istinti manifestano un desiderio di vita ma richiedono di essere umanizzati e ciò domanda tempo.
«Quando penso ai desideri, vado sempre alle prime pagine della Bibbia - ha continuato il monaco riferendosi al libro della Genesi -. Ma quelle pagine riguardano noi oggi, non qualcosa avvenuto nell'antichità, nella preistoria. Adamo non è un uomo di 7mila, 20mila anni fa; Adamo siamo noi; esattamente significa "il terrestre", perché tratto dalla terra (adamà) e quello che ci parla di Adamo e di Eva ci parla dell'uomo e della donna oggi, non di ieri». Il testo biblico afferma: "La donna, avvicinatasi a quell'albero, vide che l'albero era buono da mangiare, appetitoso agli occhi, desiderabile per avere potere" (Gen 3,6). «Qui c'è esattamente la descrizione del desiderio, come si forma in noi. Se io desidero questo oggetto, per prima cosa devo vederlo con gli occhi ai quali deve risultare "appetitoso", cioè viene voglia, appunto, di mangiarlo con gli occhi, come si dice nel nostro linguaggio... D'altronde la promessa era: se voi mangiate di questo albero non è vero che morirete, ma vivrete. Se mi si promette la vita, io desidero la vita!». Ma il desiderio «o noi lo dominiamo o lui domina noi». Allora «guai se noi non desiderassimo il rapporto con l'altro, l'amore; guai se non desiderassimo il cibo per vivere; guai se noi non desiderassimo la sessualità. Ma attenzione, queste forze dobbiamo dominarle perché accendono in noi un istinto e il desiderio degli altri, di altre cose ci può portare a non essere più padroni di noi stessi. Il desiderio se non lo si ferma esige di avere subito e tutto, è una spirale o vertigine, una forza potente che diventa insaziabile, che si trasforma in cupidigia, avarizia, amore per il possesso». Nelle dieci parole che Dio diede a Mosè, meglio note come comandamenti, ben due affermano: "Non desidererai" (Es 20,17). «Perché questa insistenza? - si è chiesto Bianchi -. Gli uomini dell'antichità comprendevano come il desiderio non umanizzato porta forzatamente a una situazione che è di violenza, di furto, di male per la società. Ai tempi della Bibbia l'invito a non desiderare la roba d'altri era come dire: tu non desidererai innanzitutto i buoi, gli asini, le pecore del vicino perché se li desideri e coltivi il desiderio di averli, li ruberai, troverai il giorno buono per rubarli. È così, siamo così!». Inoltre «non desiderare la donna d'altri, perché il desiderio si accende dentro di noi ed è difficile domarlo», come insegna la vicenda del re Davide che nonostante le 700 mogli e le 2.500 concubine approfittò del suo potere per unirsi a Betsabea disponendo la morte di suo marito Uria in guerra. «Certo noi oggi è difficile che desideriamo gli alberi e le mucche; vogliamo il denaro, capitalizzare di più, desideriamo eventualmente avere nuovi terreni e più ne possediamo, più sono nostri. Quelli che hanno tanto denaro quando sono onesti, dicono: ci sembra di non averne mai abbastanza! O il desiderio si frena, si educa o altrimenti muori». Non manca poi chi pensa «che il suo desiderio sia un diritto assoluto e voglia pretendere addirittura dallo Stato che diventi un diritto fondamentale, senza chiedersi se il suo desiderio è compaginabile con la società. Se è contro gli altri, non posso coltivarlo. Il desiderio va temperato costantemente». Da qui la necessità che la coscienza operi un discernimento «dei desideri che ci abitano; capire quelli che vanno coltivati, quelli che vanno contenuti, quelli che vanno addirittura repressi e negati». Talvolta di fronte all'impossibilità di realizzare un desiderio e alla frustrazione di un no detto da qualcuno si accende la violenza.
Quanto alle cose che ci seducono, diverse da persona a persona e mutevoli negli anni, Enzo Bianchi (che sta raccogliendo un'antologia di poesie sul vino nelle diverse culture) è stato chiaro: «Vi auguro di restare nella sobrietà dell'ebrezza, cioè di saper gustare con libertà ma nella sobrietà, sapendo sempre che potete essere trascinati via da una forza più grande di voi e che può portarvi addirittura a essere debosciati». Infine l'invito a chi ché se c'è una gioia nella vi- nella fede cristiana, cercan- desiderio, che dà più gioia è cristiano a «desiderare ta di un ottantenne che or- do, tentando di essere cri- e più pace, è quello del Reanche il Regno dei cieli per- mai ha passato tutta la vita stiano, è che il più grande gno di Dio». Alberto Margoni Enzo Bianchi e, a destra, durante il suo intervento seguito da un pubblico numeroso e attento