Sono trascorsi ormai venticinque anni da quando la rete ha avvolto le nostre vite. Eppure, come avverte Massimo Mantellini nel suo Invecchiare al tempo della rete, edito da Einaudi, nessuno fino ad ora è diventato vecchio su internet. La sua, è un'indagine a tuttotondo, non priva di rimandi autobiografici, che ci presenta per così dire una fenomenologia del raggiungimento della terza età nella realtà virtuale. E così lo specchio che già, nella vita vissuta, diventa il luogo della fatica di sé, e che può essere inteso come qualsiasi superficie che rifletta un'immagine, quindi anche una fotocamera, l'ottica di uno smartphone, un video su YouTube, diventa, insieme all'archivio, un elemento da tenere a distanza e forse da temere. Del resto, l'occhio digitale crea un resoconto molto meno poetico e anaffettivo su qualsiasi cosa si stia modificando. Il mondo digitale è edificato sulla brutalità del dato. È un mondo per residenti giovani che non installeranno mai una app (WeCroak) che gli ricordi che devono morire perché il loro orizzonte temporale non lo prevede.
Ora, la presenza degli anziani dentro il frullatore della massima esposizione li ha resi talvolta osceni, altra volta ridicoli, laddove un tempo erano nascosti e silenziosi: nel momento in cui la solitudine dell'età avanzata prova a farsi parola e azione, la società digitale bolla come oscena ogni rivolta anagrafica. Si fa forte di un dato difficile da contestare: la vecchiaia, anche nei tempi digitali, combatte, per dirla con Natalia Ginzburg, con «l'immobilità della pietra». L'anziano su internet assomiglia ad una versione corrotta del flàneur baudelairiano, meno compassato e acuto, impegnato a muoversi dentro il veloce intersecarsi delle reti digitali. Per restarvi, gli sarà richiesto di trasformarsi in vecchiogiovane. Ma chi è costui? Una figura che vive l'eccitazione della scoperta e il contemporaneo timore di essere riconosciuto. La sua caratteristica più intima è l'incertezza: teme di non esser all'altezza, di non saper argomentare bene i propri sentimenti nei confronti di un mondo che, nel frattempo, è cambiato e che non riesce a riconoscere.
Nel vecchiogiovane la cultura e l'esperienza conteranno meno di quanto abbia sperato: molto più utile sarà sapersi adattare, sapersi minimizzare, persino mimetizzare. Egli invidia e compatisce l'ingenuità dei giovani, vede quello che era e ora non è più. Un po' lo rimpiange, in parte lo critica. «È un po' troppo bianco di capelli e mi sembra che la vecchiaia lo abbia rimbambito» farà dire Dostoevskij a un suo personaggio ne Il sosia. Il vecchiogiovane si affaccia su una landa inesplorata e impervia dove le relazioni, come scrive Augé «sono promesse di relazione» e dove i legami, rigorosamente a bassa intensità, hanno poco a che fare con la nostra idea di amicizia, sintonia, vicinanza. Trasformato in una sorta di bestia ibrida dentro l'età di passaggio da una società culturale fatta di libri, riviste e trasmissioni tv a una codificata sulle relazioni digitali, il vecchiogiovane sarà costretto a fingere di avere molti amici, fingere di sapere, fingere di essere chi sappiamo non essere più.
La sua parabola sarà segnata da un percorso di «rivolta e rassegnazione», per citare il saggio di Jean Améry sull'invecchiare. Se negli anni 6o del secolo scorso, le persone in Italia con più di 65 anni erano meno del 1o%, all'inizio degli anni Duemila hanno superato il 2o%, nel 2040 si calcola si attesteranno al 33%, vale a dire un italiano su tre. Come saranno quei milioni di vecchi che stanno riempiendo il mondo? Alcuni sostengono che l'impatto che le reti connesse hanno avuto con il genere umano sia stato superiore all'invenzione della stampa a caratteri mobili. A maggior ragione, la profondità con la quale il digitale ha rivoluzionato gran parte dei processi riguarda la vita dell'anziano, che diventa una corsa ad ostacoli nella quale la tecnologia che è di fatto anticiclica poiché si disinteressa di un ciclo che è ben evidente a tutti, quello del rapido spostamento in avanti dell'età media mentre propone prodotti per soli giovani è il principale oppositore per la velocità con la quale ha colonizzato ogni abitudine.
Il tecnologo proporrà solo l'utilizzo di app, codici e password sempre più complicati, autenticazioni a tre fattori, impronte digitali, riconoscimenti facciali affinché si possa accedere a ciò che dentro una complessità crescente è pensata, si dice, nell'esclusivo interesse degli internauti. Il tecnologo rende le nuove opportunità fuori dalla portata dei vecchi. A loro armonia, purezza e tranquillità continuano ad essere negati. Come difendersi allora? Forse diventare legione comporterà loro alcuni vantaggi. Dovranno trasformarsi in nuovi ribelli costringendo la tecnologia a farsi ciclica e battendosi per contrastare il dominio della velocità in vista di una società decelerata e a «ping lungo». La seconda possibilità sarà la fede cieca nella tecnologia. Si tratta del vecchio bionico che attende fiducioso che questa lavori per lui. Intanto, noi tutti che siamo inevitabilmente diretti verso il temibile «gorgo», continueremo a «crederci "i giovani" del nostro tempo», mentre il nostro unico legame con la realtà, svestiti definitivamente i panni del vecchiogiovane, saranno i nostri figli che abitano un mondo che non capiamo più. Sì, come scrive Natalia Ginzburg, ci sentiremo «davanti a loro come bambini in presenza di adulti».