A Lograto i parallelismi tra la cronaca internazionale attuale e un passato non così lontano escono dalle parole della storica Anna Foa, che ieri ha anche presentato il libro «Donne e Shoah» (Mimesis) scritto con Francesca Nodari.
È ai giovanissimi intervenuti in piazza Lepidi che si rivolge più volte il sindaco Gianandrea Telò: «Questo giardino sia un luogo in cui porre domande e aiutarvi a comprendere come guerre, intolleranza e persecuzioni non portino a nulla di positivo ma solo alla devastazione» dice scoprendo il cippo con i nomi delle più giovani sopravvissute italiane ad Auschwitz, le sorelle Bucci cui nel lager furono impressi i numeri di matricola 76484 e 76483. Numeri invece dei nomi, Tatiana e Andra: bambine allora di 4 e 6 anni.
«Ragazzi, siate un futuro migliore di quello che il nostro presente sembra riservarvi. Abbiate senso critico, affinché in questo luogo potentissimo possiate scoprire che non ci si deve rassegnare. I Giusti non sono nati "giusti" ma hanno fatto un passo in avanti invece che nascondersi» ha detto Telò.
Nodari ha ringraziato il sindaco per lo «straordinario aiuto» e ricordato che la Fondazione Filosofi lungo l'Oglio collabora con Gariwo, associazione internazionale. «C'è il male ma c'è anche l'onda forte della bontà, forse "insensata" come ha scritto Vassilij Grossman, perché a volte così lontana dal nostro mondo dominato da egoismo e autoreferenzialità». Una risposta-reazione è «il Giardino dei Giusti: a Brescia nel 2013, a Orzinuovi nel 2015, a Barbariga nel 2019».
Per questo la guerra in Ucraina e le raffiche di colpi che hanno tolto la vita a bambini di pochi anni a duemila chilometri da noi non danno pace alle indomabili sorelle Bucci, che hanno il coraggio di affrontare altri difficile temi. «Noi non abbiamo perdonato. Anche perché nessuno ci ha mai chiesto perdono. Però - dice Tatiana - riconosco la differenza, ad esempio, tra nazisti e tedeschi. Vivo più serena da quando ci riesco, per merito del giornalista Giinther Schwarberg che portò alla luce la storia di Sergio, nostro cugino, e di tutti gli altri di Bullenhuser Damm. Dove quei 20 bambini hanno chiuso gli occhi per sempre e dove oggi possiamo portare un sassolino, in un museo con tutti i loro nomi.