Se per un verso, infatti, dall'anno della caduta del muro di Berlino ad oggi il PIL mondiale è più che raddoppiato, se gli investimenti esteri sono pari a quasi 7 volte quelli dell'89; e ancora, se la popolazione mondiale che vive sotto la soglia di povertà estrema è diminuita dal 36 al 10 per cento, dall'altro lato, in 3o anni, il PIL della Cina si è moltiplicato pen 14 volte guadagnando il sorpasso dell'economia americana già nel 2014. Come dire: alla corsa della Cina e degli altri paesi emergenti non ha corrisposto soltanto un allineamento degli squilibri del pianeta, ma una diffusa sensazione di sentire minacciati i nostri privilegi: il baricentro si sta spostando dall'Atlantico al Pacifico. Questo spiega la curvatura della domanda politica che si traduce nel «Make America Great Again», nei forgotten men di Trump o nel nostro più prosaico: «Prima gli italiani».
L'acume dell'autore sta non soltanto nel fornire dati e statistiche, ma nel tentativo - riuscitissimo - di servirsi di categorie filosofiche per darne un'interpretazione chiara. Il libro si apre con una scena in cui è protagonista Lacan che si reca nel l'appartamento di Kojève, a Vanves, dopo aver appreso della sua morte avvenuta nel '68. Cosa cercava questo genio, divorato dall'ambizione, un dandy dai modi molto snob?
Forse quel manoscritto su Hegel e Freud di 15 fogli apparentemente comparso e poi recentemente rinvenuto nel fondo Papiers Alexandre Kojève? Cos'era custodito in quelle righe?: «il segreto su come desiderare il mondo». Quell'intuizione sfolgorante secondo la quale «è in Hegel che l'originario io penso di Cartesio diventa l'io desidero». Era questa la chiave di volta «per decodificare i dilemmi del desiderio e della lotta per il riconoscimento, che ancora oggi pesano sul nostro destino». Di qui la messa in evidenza della costruzione dell'identità del soggetto che passa attraverso l'altro, contro ogni tentazione egolatrica.
L'autore riesce nella difficile impresa di ripercorrere la vicenda del pensatore russo naturalizzatosi francese, nipote di Kandinsky e alto funzionario di organismi internazionali, e di mostrare il paradigma kojèviano: ciò che mette in moto la storia è il desiderio del desiderio dell'altro, «non tanto perché l'altro detenga le chiavi dell'oggetto desiderato, ma perché il suo primo oggetto è di essere riconosciuto dall'altro».
Ora, qual è il rischio che si corre oggi in un ribollire di sentimenti contrastanti, di spinte sovraniste, di fili spinati srotolati, di «inverno demografico» come ha ricordato recentemente Papa Francesco, di blocco della mobilità sociale, di conti in rosso e di incertezza come condizione permanente? Il fatto che, dopo gli eventi drammatici della pandemia in cui i nostri comportamenti sono stati modificati dall'esigenza di contenimento del virus, quel distanziamento fisico necessario possa tradursi in un vero e proprio «distanziamento sociale». Si corre il rischio che possa avvenire uno slittamento lessicale tale da far sì che la categoria clinica degli immuni possa fissarsi in un paradigma politico.
Il cono d'ombra in cui si è infilato il nostro desiderio è questo: per un verso, vorremmo essere immuni dal rischio di essere contagiati dal desiderio dell'altro, per l'altro, proprio in quanto esseri umani, non possiamo rinunciarvi. In quessta fase storica dominata dalla diffidenza nei confronti dell'altro, senon addirittura dal rancore e dal l'indifferenza si pensi all'illuminante libro del Cardinale Matteo Maria Zuppi: Odierai il prossimo tuo (con L. Fazzini, Piemme 2019) può accadere di tutto.
Cosa fare, allora per contrastare la stagnazione del «PIL della socialità»? Se, come scrive Kojève, «il desiderio è la presenza di un'assenza», se la nostra essenza non è che un «vuoto d'essere» - è perché l'uomo dice di no al suo ora che ha un futuro. È perché si nega che ha un passato» notava Koyré - non possiamo «non vivere il paradosso squisitamente umano - di non essere ciò che siamo, di essere ciò che non siamo». Non sta, forse, in questo abbondonarsi alla seduzione del futuro la sfida di ciascuno di noi?