BRESCIA. Gli italiani si raccontano un Paese che non esiste, secondo uno strabismo che premia la percezione sulla realtà, alimentato dalla scarsa conoscenza affidata alla superficie della tv e di internet.
«Gli italiani tendono ad allargare a dismisura i fenomeni sociali, lanciando allarmi inesistenti», dice Nando Pagnoncelli, presidente della società demoscopica Ipsos. Uno che se ne intende, con trent'anni di esperienza nel sondare il carattere degli italiani. O meglio: l'opinione pubblica, diventata protagonista assoluta dell'età moderna nelle scelte delle imprese, ma anche della politica. «Spesso nel giudicare le cose ci lasciamo trascinare dalle nostre opinioni, che finiscono per guidare le scelte».
Tant'è, giudica Pagnoncelli, che gli italiani hanno in testa «La Penisola che non c'è». Che è poi il titolo esaustivo del suo libro presentato a Librixia in dialogo con il segretario di Confartigianato (sponsor della manifestazione) Carlo Piccinato.
Problema antico come il mondo, la distanza tra fatti e percezione: la differenza è che adesso le opinioni dei cittadini si misurano con i sondaggi. All'inizio in Italia si usavano per indagare i consumi, dalla fine degli anni Ottanta (con la caduta del Muro, Mani Pulite e la mobilità del corpo elettorale) la ricerca demoscopica interpella i cittadini. I partiti hanno bisogno di conoscere i loro elettori, sempre più mobili, e i sondaggi sono diventati lo strumento per capire come raggiungerli e catturare il consenso.
I rischi. «Le opinioni hanno asssunto un peso enorme, ma la distanza che spesso c'è con la realtà è un grosso rischio», mette in guardia Pagnoncelli.» Ad esempio, quando chiediamo quanti sono gli immigrati in Italia, la risposta media è il 30%, mentre è il 9%. Se chiediamo quanto sono gli over 65 la media delle risposte dice 48%, invece è il 22%».
L'Italia su 14 Paesi oggetto di una ricerca specifica è la nazione dove la percezione è più distante dai fatti. Tutto ciò ha a che fare anche con l'idea che abbiamo del nostro Paese: pensiamo sia in declino e i nostri comportamenti sono in linea con questa convinzione. Siamo un popolo ambivalente, che amplifica le preoccupazioni.
Speranza. Il primato negativo si spiega con tre ragioni. La bassa scolarità (solo il 14% degli italiani è laureato, la media dell'Occidente è il 37%); il difetto caratteriale ovvero siamo più emotivi che razionali; il modo in cui le persone si informano. Decisivo è questo ultimo aspetto. «Internet è uno strumento straordinario, tuttavia porta con sé rischi enormi: le fake news; il fatto che i social sono diventati luoghi confermativi delle proprie opinioni invece che di confronto; infine, siamo iperstimolati dalle informazioni, ma la capacità di discernimento e di comprensione è crollata».
Come se ne esce? «Ciascuno si riappropri del suo ruolo di cittadino attivo, ben informato, capace di esercitare lo spirito critico». Bisogna recuperare la fiducia e la speranza, anche «raccontando gli aspetti positivi dell'Italia, per essere consapevoli delle tante cose che funzionano bene. Pensiamo solo al capitale sociale: sei milioni di volontari».