«Condividere», nella resa dal verbo francese "partager", implica (lo suggerisce già la congiunzione "con") che il dividere presupponga una ripartizione tra più soggetti. Significato di per sé problematizzante poiché, in un'epoca segnata dall'incremento delle diseguaglianze, non è facile comprendere fino a che punto ci si dividano le cose in maniera equa o meno. E, nella "società planetaria", esiste il rischio concreto di innescare un meccanismo addirittura opposto alla condivisione. È lo spunto da cui muove il nuovo libro di Marc Augé, «Condividere la condizione umana. Un vademecum per il nostro presente» (Mimesis), presentato all'ultimo Salone del libro di Torino, di cui parliamo con la curatrice Francesca Nodari.
«L'autore osserva che l'ambivalenza del "partager" porta anche al diffondersi dell'ondata di nazionalismi e populismi, che fanno leva sul concetto di appartenenza per ottenere il consenso delle masse. Ora, se l'ideologia della spartizione non può che farsi produttrice di sempre nuove disuguaglianze e se, dietro tutte le dichiarazioni di uguaglianza, incombe lo spettro della disuguaglianza alimentato da una strumentalizzazione, cosa possiamo fare perché questa minaccia non si trasformi in un circolo vizioso?».
L'autore invita a considerare le tre dimensioni dell'essere umano: individuale, culturale e generica: «Augé ama citare la frase di Sartre "Ciascun uomo è tutto l'uomo". Se non ci rendiamo conto che in ciascuno di noi abita la dimensione generica dell'uomo, allora siamo votati all'indifferenza e alla solitudine». Il fil rouge del saggio si dipana attorno ai due neologismi di non-luogo (non-lieux), riferito a tutti quegli spazi connotati da una perdita di identità e di relazione, e di surmodernità. «In un'era - commenta Nodari - dominata dal disorientamento, sempre interconnessa ma abitata da solitudini che si moltiplicano, ormai ad ogni luogo sottostà un non luogo.
Città. Nelle nostre città ci sono ancora luoghi (la piazza) deputati all'incontro, ma che allo stesso tempo sottendono nonluoghi, come i centri commerciali, la cui pervasività mette in scacco lo stesso luogo». Inoltre, «il manifestarsi dell'idea di surmodernità conduce sempre più a una disparità tra possidenti, consumatori ed esclusi. In mezzo ci stiamo in tanti, con la paura di cadere in futuro nella categoria degli esclusi. E una situazione paranoide: l'escluso (il migrante) scappa da terre di guerra e si trova apolide in una terra che non lo vuole accogliere. Augé pone anche l'accento sulla "felicità sedentaria" cui siamo abituati noi occidentali; i veri eroi del XXI secolo sono i migranti, poiché mettono in atto una felicità in movimento».
Ma l'opera dell'antropologo francese non sfocia in una deriva pessimistica. Illuminante è il sottotitolo che sta ad indicare una sorta di kit per la sopravvivenza nel mondo globale. «Marc Augé ci invita a scommettere su una chance, ne va del nostro stesso futuro: l'utopia dell'educazione, così definita non in quanto irrealizzabile, ma perché le politiche finora non sono state in grado di mettere al centro la tematica dell'educazione prima ancora della ripresa economica, cioè di dotare qualsiasi persona degli strumenti minimi e necessari per districarsi in questo ambiente così complesso e ostile. Egli rinviene nella conoscenza il pane quotidiano per l'umanità, sinonimo di creazione e rottura rispetto ad un ritorno del bovarismo inteso come "fuga nell'immaginario per sfuggire all'insoddisfazione" e riscatto della dignità in quanto riconoscimento del paradosso umano».
L'incontro. Venerdì prossimo, 5 luglio, alle 21.15, Marc Augé interverrà a Villa Morando di Lograto per il XIV Festival "Filosofi lungo l'Oglio", sul tema «Generare». Già directeur d'études des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, di cui è stato a lungo presidente, autore di numerosi saggi e considerato tra i maggiori africanisti dei nostri tempi, Augé è diventato negli ultimi vent'anni una figura di riferimento anche per un'antropologia della tarda modernità.