In una lettera alla madre, il grande poeta R. M. Rilke si sforza di interpretare tutto il mistero che sottende il venire alla luce del Figlio di Dio mostrando come in quest' "ora santa" accada, ogni volta e di nuovo, di scoprire dentro di noi un bambino "che attende e sta là, fiducioso e mai confuso, nel suo diritto ad una grande gioia: questo è il Natale, avvertire dentro di sé, una volta l'anno, questa aspettativa, questo fermo diritto che niente può deludere". Ma come può l'io disperso" contemporaneo, egoista e ingabbiato nel proprio conatus essendi sentire questa gioia? Come può il soggetto disorientato e sempre più solo vivere il Natale se non è inquietato dall'Altro, se è sordo a chi bussa alla sua porta, se non prova stupore dinanzi a chi lo invoca e gli chiede aiuto? Forse essere consapevoli della nostra mortalità, del fatto che, in fondo, siamo solo "guscio e foglia", può aiutarci a non sentirci mai esentati dal farci incontroall'Altro come avvenne per il buon samaritano che, alla vista di un uomo mezzo morto - "un individuo anonimo che ha una sola determinazione: appartiene all'umanità", argomenta Enzo Bianchi commentando questa parabola nel suo libro Raccontare l'amore (Rizzoli, Milano 2015) - "fu preso da viscerale compassione" (Lc 10, 33). Un farsi incontro che non può essere degradato al mero solidarismo di chi, ad esempio, nel fare l'elemosina sente di aver assolto ad un precetto. A volte basterebbe un sorriso, una parola, una carezza: "significato corporale del tempo", scrive Levinas.
Come dire: una libertà che si volge in responsabilità e risponde al grido dell'Altro - della vedova, dell'orfano, dello straniero -dicendo "Eccomi". Un grido che è fame di pane, ma anche di amore, di tenerezza. In questa elezione siamo chiamati, per così dire, a fare accadere nella nostra vita vissuta l'evento stesso della misericordia da misèricors, che viene da misèreo, ho pietà e cor, còrdis, cuore: ovvero la miseria dell'indigente che è nel bisogno come me, mi tocca nel profondo e mi induce ad approssimare l'Altro praticando la misericordia. Nozione questa cui Papa Francesco ha dedicato il Giubileo straordinario apertosi ufficialmente lo scorso 8 dicembre, giorno dell'Immacolata Concezione; anche se già il 29 novembre il pontefice ha aperto la porta santa della Cattedrale di Notre-Dame di Bangui, in occasione del suo viaggio apostolico in Africa.
Misericordia: parola, non a caso, strettamente legata alla maternità se pensiamo al termine biblico Rahamim, "che contiene un riferimento - spiega ancora Levinas - alla parola Rechèm: utero" ovvero misericordia come "commozione delle viscere". Un farsi toccare, se così si può dire, dalla sofferenza dell'Altro, un "uscire da sé" che è "dolore a fior di pelle", passività che s'accresce, sé posto all'accusativo. Ora, crediamo che risieda in questo farsi incontro all'Altro in uno sperare insieme per il presente "in cui c'è già Dio", la gioia di quel bambino. Vivere il Natale è, forse, rinnovare quella solenne promessa di una gioia che chiede costantemente di essere alimentata.