Che sentimenti ha provato di fronte alla tragedia di Parigi?
«Dolore, sconforto e indignazione. Solidarietà commossa con le vittime e con i loro familiari. Mi chiedo poi quale perversione e blasfemia possa albergare nei cuori e nelle menti di chi crede di essere gradito a Dio compiendo simili efferatezze. Ho provato rabbia e sdegno nei confronti di quegli opinionisti e di quei politicanti che adducono giustificazioni, attenuanti, contestualizzazioni: alleati inconsapevoli, ma egualmente pericolosi e subdoli, del terrore».
Ci può spiegare meglio?
«Oltre al terrore, tra le armi classiche dei sostenitori dello jihadismo da sempre vi sono la confusione e l’equivoco. Siamo vulnerabili anche su questo campo perché in Occidente putroppo siamo stati da decenni abituati a usare male le parole, a impiegare parole inadatte o improprie. E così si pensa male e dilaga la confusione. Pacifisti, terzomondisti, religiosi buonisti e ‘pensiero’ radical-chic hanno fatto sì che un moralismo assolutista e conformista sia subentrato all’etica. La libertà, la dignità e la vita etica richiedono forza e carattere. Questi pulpiti vacui e ignavi, con i loro ‘ismi’, ci hanno reso deboli, in parte avallando la ‘sottomissione’ ».
Si riferisce anche alla Chiesa?
«Vi sono tentazioni utopistiche circa la guerra e la pace in seno alla tradizione cristiana. Ma la violenza fa parte del reale, come la guerra. Tommaso d’Aquino prevede, quando necessario e inevitabile, il ricorso alla violenza. Bonhoeffer, uno dei massimi teologi cristiani del ‘900, ritenne necessario cercare di uccidere Hitler, anche se l’attentato purtroppo fallì. Quando sento alcuni cristiani confondere pace e pacifismo, bontà e buonismo, persecuzione e uso legittimo della forza, mi viene da chiedere loro: cosa avresti fatto con Hitler? Come l’avresti fermato senza il ricorso alla forza? E non ritieni che, mentre tu interrogavi (male) la tua nobile coscienza, avresti avuto delle responsabilità effettive nei confronti delle persone che nel frattempo morivano? Il buonismo, quando non é una maschera per la viltà, é un lusso della coscienza».
Lei ha ricordato il nazismo. Vede delle analogie con l’oggi?
«Il clima che viviamo é inedito. Le Twin Towers e Parigi segnano dei punti di non ritorno. Vi sono analogie che possono rievocare l’ascesa del nazismo. Sicuramente l’imposizione di un nuovo ordine mondiale jihadista, i ricatti economici e l’uso dilagante del terrore. Come il nazismo anche lo jihadismo é ossessionato, in tutte le sue forme, dall’antisemitismo e dall’antisionismo. In particolare va fatto poi presente che lo jihadismo dal nazismo ha ricevuto non pochi contributi ideali».
Quali armi possiede oggi l’Islam politico secondo lei?
«Potenzialmente le nuove demografie religiose europee. Poi il terrore eretto a sistema. Si aggiunga la loro forza economica e la dipendenza economica di molti Paesi europei impoveriti dalle loro economie. E, infine, un’arma impropria: il “non pensiero” culturale e politico di troppi occidentali.
Quale il sentimento degli ebrei europei ed italiani? E’ ancora possibile parlare di ‘dialogo’?
«Vi é molta preoccupazione e molti fantasmi sono tornati. Ma noi siamo tenaci. E la tenacia é un sentimento che dovremmo essere in grado di tradurre e trasferire agli altri europei in questi frangenti. Israele questi problemi purtroppo li conosce bene ed é in piccolo il laboratorio di quanto succede in Europa oggi. Il Dialogo ha e avrà sempre alti e bassi. L’importante é non farlo spegnere.