L'uso disordinato del cibo. Marc Augé traccia la mappa dei nostri comportamenti, misura la distanza crescente, anche ad Occidente, «tra i più poveri dei poveri e i più ricchi dei ricchi», la violenza dilatata, l'uso disordinato del cibo, la forma obesa della società dei poveri, indica subito l'uscita di sicurezza: «Solo un progresso generale nel campo dell'educazione di tutti e di ciascuno sarà in grado di promuovere l'idea di benessere materiale per tutti». La causa del disordine umano deriva dal prevalere di quella volontà di potere cresciuta dal sangue di Caino. I nostri due ultimi secoli, dice Augé, hanno registrato un'immensa accelerazione della tecnica e della tecnologica ed una altrettanto rapida crescita dell'ingiustizia sociale. Perché mai, dunque, a una maggiore possibilità scientifica corrisponde un di più di povertà e dì miseria? Perché crescono gli affamati se il modo per procurare alimenti è molto meno oneroso? Marc Augé incita a un cambio di passo, riconoscendo manchevolezze ed errori «che hanno determinato una situazione che non è stata una fatalità. Si potrebbe aggiungere a questo elenco di manchevolezze; una grande quantità di crimini commessi contro la natura con conseguenze dirette sul nutrimento».
Le due velocità della politica. Augé accusa due velocità diverse e colpevoli della politica nei confronti dell'umanità. Nella società dell'opulenza, la politica si allea con la scienza e risolve le questioni dell'emergenza. Nei continenti della miseria, la politica sparisce, diventando dittatura, e volta le spalle alle questioni del bisogno minimo. Il pensatore francese riferisce l'esempio di Ebola, quasi insuperabile in Africa e subito messo sotto controllo appena il virus è comparso in Europa.
Impigriti e immobilizzati. Ora si corre il rischio terrificante di lasciare ancora in sospeso il mondo di persone affamate, impigriti e quasi immobilizzati come siamo nelle dismisure dei nostri «non luoghi», negli orti artificiali e depressivi dei metrò, degli stadi, degli ipermercati, delle periferie. Ormai invisibili i mulini a vento dei nostri sogni e delle nostre idealità e introvabili campi e sementi dei valori. Marc Augé propone di tornare alla domanda centrale, alla questione della finalità. «In vista di che cosa noi viviamo? Perché postulare la necessità di un pane quotidiano?». Emerge la punta dell'inquietudine, del non sentirsi a posto, la paura del «luogo certo» del bene e del male e della conoscenza del bene e del male rispetto al «non luogo» in cui tutto si confonde e si sospende. Quindi si fa largo «la questione della sincerità, del calcolo, della menzogna e del fare i conti ciascuno con la propria coscienza». I lampi della coscienza rischiarano di bianco il nostro grigiore, si ritorna alla base del pane, all'infanzia della vita, quando credemmo di non morire di fame, nonostante la povertà visibile e profonda. Marc Augé si accosta al popolo degli uomini sdraiati nelle stazioni del mondo e si chiede come sia possibile sopportare l' immagine pietosa di questi nostri fratelli. Ci sono due ragioni che ci tengono distanti da questa umanità sdraiata, lo scandalo della cattiva coscienza e la paura di diventare come loro.
Una scuola dell'educazione. Occorre tornare a una scuola globale dell'educazione, conclude Augè, e non confondere il senso dell'universalità con la geografia della globalizzazione. Universale è lo spirito, globale è il corpo. Che la globalizzazione non sia un alibi per dimenticare l'universale.