Il decimo Festival dei «Filosofi lungo l’Oglio» con targa del presidente della Repubblica efalangidi amici crescenti e motivati, viene accolto, mercoledì sera, in una corte aristocratica di Nigoline di Corte Franca, a Palazzo Monti della Corte. Relazione del prof. Franco Riva, docente di Etica Sociale e Antropologia. Tratta il tema «Ventre affamato non sente ragioni». Pensi, al momento, che la questione riguardi la critica verso chi pretendedi riformare e rivoluzionare a stomaco vuoto. Invece la riflessione è molto più acuminata e riguarda il rapporto tra cibo e libertà, la distinzione tra un cibo necessario e un suo uso malato. Anna Becchetti, assessore alla Cultura, nella grazia di un sentire profondo, saluta il passaggio dei Filosofi di Francesca Nodari, leader del Festival dei «Filosofi lungo l’Oglio». Lei, presidente - direttore della nuova Fondazione - introduce il prof. Riva, indica il suo nuovo libro, «Filosofia del Cibo».
La Bibbia. La Bibbia traccia, di nuovo, la direzione del ragionamento: Giacobbe - dice il prof. Riva - rinuncia alla primogenitura per un piatto di lenticchie, per la scelta del cibo necessario. Lenticchie, non caviale. L’essenzialità del cibo viene raccolta nella letteratura del russo maggiore, di Dostoevskij: «Fateci vostri schiavi ma dateci da mangiare». Si ritorna al pensiero di Nancy, la bocca non è soltanto un imbuto per incorporare, ma è anche un essere slanciati verso il fuori. Esiste un equilibrio molto difficile tra la scelta del cibo indispensabile all’energia e «l’insidia-occasione» - dipende dalla qualità e dall’uso finale del cibo - quando si persegue l’idea che ogni cosa che riguarda il cibo sacralizza la lotta per la sopravvivenza. Il prof. Riva sottolinea la schiavitù del bisogno del cibo, dove rischiamo di essere sottomessi al principio di distruzione contro il principio della vita.
Egoismi. In un sistema di egoismi,ciascuno di noi non mangia il cibo,ma mangia altri, perché mangia altre forme di vita. Segue la ricerca di un’alleanza storico-filosofica. Novalis accredita il mito del sangue nell’uso del cibo, Riva distinguetrailcibodellavoroe il cibo della festa e critica quest’ultimo, in cui gli eccessi degli addobbi e degli argenti annullano lo stesso concetto di serenità festosa, chiamando, al contrario, il sangue, la violenza. Riva cita il filosofo Barthes, l’allegoria della bistecca, cuore della carne, in cui assumi la forza taurina. Siamo nel campo del cannibalismo post sacrale, abbracciandolate - si cara ai post freudiani a Theodor Reik a chi vide, nell’«Assassinio di Cristo», la pretesa ebraica e quindi cristiana con la Comunione di impossessarsi della forza di Dio, mangiando il suo corpo. La scrittrice Yourcenar, del resto, scrive che a noi accade di «digerire le agonie di essere viventi». E a proposito di Sartre non si dimentica la sua dichiarazione intorno allo «spogliarello dell’umanesimo», quando è penetrato in Africa a colonizzare i disperati. Per il prof. Riva, dunque, non è accettabile che il ventre affamato non senta ragioni, altrimenti succede il regno della violenza e del cannibalismo.
In conclusione. È necessario fornire un tempo in cui il cibo non ci renda schiavi, perché ne godiamo in una misura che ha a che fare con la dimensione dell’altro. Infine compare l’utopia di don Chisciotte, a cui la follia serve per difendere gli affamati,abbattere la violenza, pagando sulla esecrabile derisione del suo mondo. In fondo don Chisciotte ci procura speranza e la misura di una sintesi tra fame e libertà.
Venerdì, 26 Giugno 2015 12:28
Cibo e fame: Don Chisciotte tesse il filo di una speranza
Tonino Zana - Giornale di BresciaCORTEFRANCA. Si sta in Franciacorta, nella sua nobile avventura di cascine e di palazzi.
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- autore: Tonino Zana
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