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Lunedì, 27 Aprile 2015 11:16

«La felicità? Tornare in cucina a preparare cibi sani»

Si intitola «Manifesto del cibo liscio. Per una nuova filosofia in cucina» (Interlinea, 12 euro) l’ultima fatica (presto in libreria) di Francesca Rigotti,nota docente di Dottrine politiche all’Università della Svizzera italiana.

Dopo «La filosofia in cucina» e«Gola », in questo volume/manifesto Lei riprende «uno stile che esalta il pensar in parallelo». Di qui il tentativo di spiegare che cos’è il cibo attraverso le correlazioni che sembrano moltiplicarsi tra esso e il corpo, il piacere, il desiderio, il bisogno...

È vero. Aggiungerò che ho trattato anche la relazione tra cibo e memoria; l’ho fatto in forma narrativa, per me inconsueta, mostrando, in una serie di racconti, la potenza del cibo nel catalizzare il ricordo, nel fissare e concentrare eventi e pensieri intorno a determinati alimenti e pietanze che si gustarono in particolari momenti. Una «memoria palatale»? Forse, perché no.

Lei parla di una gastronoetica ossia di «una lettura filosofica delle cose del ventre», ove, pur nella compresenza dei due spazi, il liscio prevale sullo striato. Può spiegarci questo punto?

La partizione tra liscio e striato è un principio squisitamente filosofico elaborato negli anni ’80 dai filosofi francesi Deleuze e Guattari: il liscio fa la parte dell’elemento aperto e liberatorio, lo striato quella della componente ordinata e regolatrice. I due principi, liscio e striato, lavorano in coppia e in alternanza, sono antitetici e complementari, l’uno per l’altro necessari. Entrambi concorrono alla definizione del modello alimentare liberatorio e positivo. A me sembra che un vero progresso debba andare verso il liscio (con la libertà e la rapidità dell’intelligenza, della tecnologia e dell’informazione) senza dimenticare lo striato delle istituzioni stabili a carattere normativo e prescrittivo.

Il cibo liscio, come Lei mostra, si rifà allabuona regola di prepararsi le pietanze da sé e del tornare ad una cucina sana. Oggi si cucina meno, mentre paradossalmente si registra l’aumento di format culinari, con il rischio che il risultato sia un trionfo del consumismo...

Si tratta di un paradosso della nostra bizzarra epoca,riconducibile alla nostalgia che proviamo per il mondo perduto. Di qui, quasi per compensazione, il tanto parlare di cibo allorché la catena produttiva è svanita ai nostri occhi,e la sua elaborazione diretta non coinvolge più né le nostre mani né la nostra mente.

Che ruolo gioca oggi la volontà nel rapporto col cibo?

La mia impressione è che la società in cui viviamo tenda a liberarci dalle nostreresponsabilità edal ruoloimportantissimo che svolgono la volontà, l’iniziativa e il controllo delle azioni. Non ci sono più colpe né errori, né vizi né peccati, solo sindromi, malattie, disagi mentali. «Conosci te stesso» diceva l’oracolo, non certo per mero amore del sapere, ma per poter dirigere e organizzare la propria vita, magari secondo i principi del «nulla di troppo», seguendo la medietà (non mediocrità) ed evitando l’eccesso.

Spiegando mirabili etimologie, Lei distingue tra cibo sofisticato, cibo genuino e adulterato, e aggiunge che questo «manifesto» dovrebbe essere indirizzato anzitutto ai bambini…

La bambina dei monti Heidi e il pastorello dell’alpe Peter, che vivevano a contatto con la natura, godevano di un’alimentazione genuina (termine che deriva da «genu», ginocchio, e che indicava il bambino posto sulle ginocchia dal pater familias, che in questo modo lo riconosceva per proprio). La loro alimentazione era povera, dal momento che Heidi e Peter mangiavano quasi solo pane, latte e formaggio. A quella dieta non vogliamo tornare, ma non vogliamo nemmeno rimpinzare i nostri bambini di chips e succhi di frutta conservati e dolcificati. Grassi da bambini, grassi tutta la vita, dice la saggezza popolare, e questo non va bene,perché la grassezza non rende felici.

Informazioni aggiuntive

  • autore: Francesca Nodari
  • giornale: Giornale di Brescia

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