Una piazza tra chiesa e castello dove, l'altra sera, sedevano 500 persone ad ascoltare la lezione morale di Salvatore Natoli, «Perseveranza. Fedeli alla meta», lui che è cittadino onorario del paese, salutato dalla più giovane del Consiglio comunale, Laura Mazzola, vestita a festa del suo Erasmus a settembre, e presentato con dovizie biografiche e passioni affettuose dalla sua amabile allieva, Francesca Nodari, così perseverante nel seguirlo ad ascoltare i suoi testi, come questo «penultimo» «Perseveranza», edito da Il Mulino. Se la perseveranza si attua nella reciprocità, allora, l'affabulatore Natoli si sarà ricordato subito, il mattino dopo, di chiedere i perché di un popolo filosofico che non perde un colpo da un mese e mezzo, perché non ha tossito una volta nell'ora della sua lezione etica, perché non ha ancora capito di trasferirsi qui a sfogliare il senso del fine infinito secondo una perseverante attitudine a battere i pericoli viziosi dell'accidia e dell'eccesso, per ascoltare i passi di quella misura finalmente e unicamente umana, che danza serenamente e senza clamore nel circuito semantico di fede, fedeltà e fiducia.
L'altra sera, il prof. Natoli è parso perdersi felicemente, mollare gli ormeggi dei suoi codici, esplorare a fondo ogni passaggio, scaldandosi alle infiltrazioni intellettuali e misteriose del popolo filosofico della piazza. Poiché la perseveranza, per dirla con Natoli, non avviene in solitudine. E una piazza è il più alto esorcismo contro la solitudine. Natoli avanza e la voce si ferma nell'ansa delle grandi pause esistenziali, dove si annidano le domande centrali della vita, perché non mollare, perché credere. Perché, risponde, la persona è portata naturalmente a cercare fiducia nell'altro, perché da sola non ce la fa. Fedeli significa essere ben piantati sui propri convincimenti con le radici e la forza della quercia. La fede esige speranza, rischio, scommessa, ma non si perde, non vagheggia nella palude di una speranza fine a se stessa che rischia la disperazione.
La fede è un nome di azione. Esiste una tensione non antropocentrica della fede, che sta nel bisogno di credere, nell'affidarsi. Sul piano puramente umano, invece, la fede corrisponde all'esigenza di credere in qualcosa che si vuole avvenga. Il Cristianesimo impegna, piuttosto, a un'attesa che dipende dal «chi» e non contempla il futuro. L'attore «verrà come un ladro» e «noi dobbiamo essere pronti, estote parati...». La fede ha una dimensione totalmente gratuita: «La tua fede ti ha salvato». Qui, la fede, evangelicamente, si veste di consolazione, vince il sospetto: la redenzione si erge poiché il suo fascino, l'alleanza conia solitudine della persona è maggiore del dubbio, del sospetto.
Ma fede, fiducia, fedeltà non si attivano senza la perseve-ranza, autentico laboratorio di speranza, altrimenti circola il vago, il sentimentalismo, il folclore e il rumore di fondo del nulla che agita il nostro tempo. La perseveranza è non mollare mai, non accedere a un'idea di resa. Tommaso ricorda che la perseveranza è il rigore del bene, la stabile e perpetua permanenza in esso. La perseveranza, vissuta nella prudenza, ci riconduce al rigore dei comportamenti, a una dimensione asciutta e seria del vivere. Ma la perseveranza è suscettibile - spiega il prof. Natoli - di difetto e di eccesso. Il difetto è delineato ancora da Tommaso, e da Aristotele, che avverte del vizio al rinvio, ai pigri e ai sonnolenti. L'eccesso di perseveranza porta alla testardaggine, la cui radice è la vana-gloria, il voler ragione ad ogni costo. Il vero attore della perseveranza è una guida, un leader, prende sulle spalle gli altri, avanza e li ascolta. Allora - emoziona il prof. Natoli -, se avrai operato secondo il fine e con le regole di quel fine, sarà valsa la pena. Applausi e domande.