A questi e altri interrogativi cercherà di rispondere Chiara Saraceno - professore di ricerca presso il Wissenschaftszentrum für Sozialforschung di Berlino- chein quest’intervista sintetizza i passaggi cruciali del suo intervento sulle «Forme di famiglia», in programma oggi, alle 16.30 in piazza Martiri a Carpi nell’ambito del Festivalfilosofia, manifestazione che conferma il successo delle precedenti edizioni e la partecipazione straordinaria di pubblico a questa tre giorni di festa del pensiero.
Professoressa Saraceno, in che senso si può parlare di «nuove» forme di famiglia?
Come ho scritto nel mio libro «Coppie e famiglie » (Feltrinelli), si può parlare di «nuove famiglie » sia dal punto di vista di che cosa ci si aspetta dai rapporti familiari, sia dal punto di vista di quali relazioni vengono riconosciute dai soggetti. Per quanto riguarda il primo punto, ci si riferisce alle norme e aspettative rispetto ai ruoli di genere e generazionali, che sono profondamente cambiati nell’arco dell’ultimo secolo e lo sono tutt’ora. L’aspettativa dell’amore e del reciproco ben-essere emotivo e anche sessuale è diventata la norma nel matrimonio. Nonostante ci siano ancora profonde asimmetrie tra uomini e donne sul piano sociale e della divisione del lavoro, la parità è diventata la norma ideale nei rapporti di coppia. La sessualità è sempre meno riproduttiva; i figli sono importanti, ma non necessari e «scarsi ». L’invecchiamento delle parentele ha creato nuovi ruoli e consentito lo sviluppo lungo di rapporti tra le generazioni.
Quali sono, per riprendere il sottotitolo di un suo volume, i nuovipatti tra i sessi e le generazioni?
Ormai anche in Italia è in aumento il numero delle coppie che convivono senza sposarsi o prima di sposarsi (una su tre) e talvolta hanno figli senza essere sposate o prima di sposarsi. L’aumento delle separazioni e dei divorzi non ha fatto solo incrementare il numero dei genitori soli e di coloro che tornano allo stato di single, ma anche il numero delle cosiddette famiglie «ricomposte». Le persone omosessuali da tempo rivendicano il carattere pienamente familiare delle proprie relazioni affettive, sul piano delle obbligazioni reciproche come dei diritti: l’Italia è uno dei pochi Paesi sviluppati a non riconoscere legalmente alcun carattere familiare a questi rapporti. Infine, non va trascurato che la mobilità geografica delle persone - emigrazione e immigrazione - rende sempre più visibile che esistono modelli familiari diversi rispetto ad entrambigli aspetti che ho segnalato.
Quali misure si dovrebbero adottare perché il welfare del nostro Paese possa diventare più inclusivo e attento nei confronti di donne,giovani, disabili e famiglie con figli?
Il «welfare state» italiano tradizionalmente ha fatto molto conto sulla solidarietà famiglia, sia sul piano della redistribuzione del reddito sia su quello della produzione di cura alle persone. In parte ha funzionato, pur al prezzo della produzione e cristallizzazione di grandi disuguaglianze, tra uomini e donne, tra classi sociali, tra territori. La crisi economica ha mostrato insieme la forza e la debolezza di quel modello. Le famiglie, infatti, hanno fatto da ammortizzatore sociale, maora non ce la fanno più (e la povertà e deprivazione sono in forte aumento). In un mercato del lavoro che è diventato insicuro anche per gli uomini, il reddito prodotto dalle donne è spesso ciò che fa la differenza. Ed avere un reddito proprio è ciò che garantisce alle donne e ai loro figli di non cadere in povertà se il rapporto di coppia finisce. Ma le donne, per poter stare sul mercato del lavoro, hanno bisogno non solo che gli uomini facciano la loro parte nel lavoro familiare, ma di servizi (che a loro volta creano domanda di lavoro). L’Italia èunodei Paesi in cui i servizi di cura per la prima infanzia e la non autosufficienza sono meno sviluppati, gli orari e calendari scolastici impermeabili alle esigenze di famiglie in cui entrambi i genitori, o l’unico presente, lavorano e non ci sono nonni disponibili a tempo pieno. In questa situazione, il violento taglio ai trasferimenti ai Comuni per le politiche sociali ha peggiorato la situazione, ampliando le disuguaglianze.