La manifestazione propone un calendario fittissimo, tra 50 lezioni magistrali affidate a insigni protagonisti del pensiero contemporaneo, mostre, concerti, spettacoli, letture, iniziative per bambini e cene filosofiche. Tra gli incontri più attesi v’è la lectio magistralis del grande antropologo ed etnologo francese Marc Augé, che parlerà della «Solitudine degli amanti» sabato 14 settembre alle 16.30, in piazza Grande a Modena. Per l’occasione lo abbiamo incontrato. Con il suo piglio di fine indagatore dei comportamenti umani e delle loro mutazioni, Augé scava a fondo nella complessità dell’accadere stesso del fatto che si affermi che si ama qualcuno.
Professore, che cosa significa amare? E perché Lei ha scelto di concentrarsi su ciò che sembra il contrario dell’amore, e che costituisce uno dei paradossi della «planetarizzazione », ovvero la solitudine dell’individuo, e nel caso specifico, la solitudine degli amanti?
Oggi viviamo in un’era dove, quotidianamente, attraverso i media assistiamo ad un bombardamento di immagini tale che la realtà stessa pare una finzione e la finzione una realtà vera e propria.Specialmente la televisione, a proposito dell’amare, ci ha abituati a programmi ove l’amore si presenta, un po’ come accade nel XVII secolo - si pensi a Racine o a Corneille - come passione, tormento, malattia. E così succede che si passi, senza neppure rendersene del tutto conto, dalla telenovela strappalacrime alle cronache dai fronti di guerra con la messa in onda di corpi straziati dalle bombe o delle armi chimiche innescate da attentatori suicidi che si immolano per «l’amore» del loro dio: una follia.
A proposito di follia, di commistione tra vita e morte: in Italia è emergenza femminicidio: cosa ne pensa?
Ritengo - ed è questo l’intendimento che sottende la comprensione del mio intervento -che esistano vari stadi dell’amare. Oggi siamo, purtroppo, nell’età in cui vige il possesso in sé, in cui si fatica a comprendere il paradosso apparentemente scontato che consiste nel fatto che per amare si deve essere almeno in due: il problema è come fare coesistere due persone e una relazione. L’altro non è mai mio, l’altro resta l’inafferrabile per l’ego. Non dimentichiamoci che la letteratura, anche se negli ultimi tempi si sta assistendo ad una benaugurante controtendenza, è stata perlopiù declinata al maschile. Certo, dei progressi sono stati perseguiti anche grazie al femminismo: le sue conquiste sono da ritenersi irreversibili, ma siamo ancora molto lontani, come la reiterata violenza sulle donne conferma, dal raggiungimento di quella condizione che consenta di vivere l’amore senza quelle ambiguità che ne offuscano l’essenza.
Intende dire che occorre passare dalla logica mortifera del possesso al lasciar essere l’altro: come?
Tra i romanzi d’amore che prediligo, vi sono quelli di Stendhal. Egli ama le donne e ama l’Italia. I suoi eroi non sono dominati e vinti dalla passione - Fedra che si avvelena - ma addirittura,anzi soprattutto,nella solitudine di una cella - si pensi al protagonista della Certosa che rimane estasiato dallo spettacolare panorama che gli si presenta dalla finestra della Camera dell’Obbedienza passiva e arriva a chiedersi: «Ma è una prigione, questa? È questo ciò che avevo tanto temuto? (...) Come mai, io che avevo tanta paura della prigione, adesso sono dentro, e mi scordo di esser triste?».
L’esperienza che questi eroi maturano è quella di una solitudine felice:sono certi di essere oggetto d’amore, senza nutrire alcuna mira di potere.Come dire:sono eroi in cerca di felicità che fanno talvolta dello spazio un luogo. Di contro l’ubiquità, l’istantaneità cui oggi siamo abituati interfacciandoci attraverso i mezzi della tecnica ci portano a registrare un altro paradosso: nella misura in cui non c’è più tempo, nonc’è più spazio. Tutte le storie d’amore sono segnate da una fenomenologia simile, ma ciò che è cambiato, specialmente con internet, è l’assottigliarsi o addirittura il venir meno del faccia a faccia. Queste relazioni stabilite attraverso internet mi ricordano quei messaggi pubblicati su «Liberation» che recitano più o meno così: «Lei indossava una gonna verde. Lei è scesa a Concorde e i nostri sguardi si sono incrociati per un istante». Ho sempre trovato questi annunci interessanti per il fatto che giocano con il tempo: catturando quell’emozione e impedendo che questa si trasformi in un ricordo essi tradiscono il rifiuto del passato. Di qui l’esasperazione dell’anonimato e la relazione che resta una mera promessa.