Le parole crescono di minuto in minuto e si avvinghiano in una dinamica battente, in una tensione tradotta dal silenzio di cinquecento persone, dentro e fuori la sala, con l’aiuto di maxischermi e le auto finite quasi nelle gallerie. «Il prossimo e il nemico» è il titolo della relazione di Massimo Cacciari all’Iseolago Hotel, l’altra sera, nell’ambito del ciclo creato da Francesca Nodari, guida dei Filosofi lungo l’Oglio, di nuovoo rdinata a introdurre l’ospite illustre. Il quale non smentisce la sua riconosciuta pensosità nervosa e invita i fotografi a tacere i loro clic, prende un applauso e chi non applaude, tanti, sta dalla parte dei «fratelli fotografi », che in fondo alimentano la meritata popolarità del filosofo. Comunque, il tema è arduo, il filosofo si spende fuori da ogni angolo, sta al centro dell’itinerario e affronta il senso, la direzione e l’approdo, della «questione prossimo» in un tempo in cui il più vicino è lontano e il prossimo diventa, pericolosamente, se stessi.
Il prof. Cacciari non è allergico alla seducente vicinanza di filosofia e religione, avanza con la consueta tonalità radicale alla parabola evangelica e al corso della storia della filosofia, si confidenzia con Dio e Gesù, San Tommaso e Francesco e non lascia solo Seneca, enunciando quel «cotidie moritur» di cui si sente il bisogno nel centro della riflessione, proprio quando il prossimo si identifica con il morire. Attenzione: con il morire che è movimento, appunto ogni giorno si muore e non con la morte che è una immagine statica.
Dunque, si chiede Cacciari, identifichiamo questo prossimo, chiediamoci cosa esso sia e per quale ragione, per quale movente accada, si manifesti, entri in scena? Il prossimo, sostiene il relatore, esige necessità, avviene nell’avanzare - «io mi faccio vicino, non son ovicino » - e si caratterizza per imprevedibilità e preidentità - «devo sentire mio il farmi prossimo» - e quindi è fondamentale che io risponda alla domanda rivelatrice: cos’è il prossimo più prossimo, il prossimo necessario, il prossimo ineludibile e imprevedibile? Il prossimo più prossimo, dice Cacciari, il prossimo necessario è la morte, io mi avvicino e lei si avvicina, incatturabile. Meglio, il prossimo è il morire nel venire avanti della persona e di lei, la morte.
Il prossimo di nuovo imprevedibile come l’incontro del samaritano in quella radura, il sostegno al prossimo che non sai se ti sia amico o nemico. Anzi, la estrema novità del testamento è l’imperativo di un amore indiscutibile verso il nemico. Non è un inno alla morte anzi, è il contrario.È un sostegno al comportamento e ai segni morali di uno stare al proprio posto proprio per questo approssimarsi dell’ultimo momento, coscienti di una resa, di una resa dei conti, di quell’«estote parati», siate pronti, dice il Vangelo, perchè potrebbe essere l’ultimo istante. Per guardare l’altro sempre come fosse l’ultima volta. Cacciari raccomanda di non incantarsi sulla morte, ma di muoversi per vivere la vita come l’opposto della fine. Per una resa, una rendita, non un arrendersi.
Morte è arrendersi, morire è rendersi, perciò redimersi, incrociando più velocemente il mistero della Resurrezione: morire-rendersi-risorgere. Nel Vangelo, ricorda Cacciari, sta scritto ama il tuo nemico, non, ama la morte. E Francesco chiama la morte, Sorella Morte. È Francesco a dispiegare nella gioia di una sofferenza ariosa e invisibile ogni punto saliente del morire. Ma è l’approssimarsi del Signore accanto al nostro approssimarsi al morire che rende la morte minuta, momentanea. Proprio per la grazia di una vicinanza divina si riscatta la morte, scrive e recita la fede.
Il Signore assume liberamente la morte - il calice dell’amarezza e dell’angoscia che approssima l’uomo a Gesù -.
E di nuovo rinviene prepotente la dolcezza di Francesco, il quale si fa prossimo al morire morendo ogni giorno con il sorriso di un’incarnazione profetica. La morte e il morire, il prossimo amico e nemico, un’ora di scansioni notturne onerose. Eppure, nessuno si è mosso, le centinaia di uditori non si sono spostati e hanno atteso la conversazione. Dormivano tutti, a quell’ora avanti nella notte, i cinici e gli indifferenti alla cultura, non si alzavano cori o sussurri di populismo, non si temeva la morte e si rispettava quell’andare avanti nella vita, a testa alta, secondo le regole della natura e della religione propria.
Secondo quel passo di Seneca e di Gesù, siate preparati, ogni giorno si muore, ma ogni giorno, per Dio, si vive. E se ci si è imbattuti nell’educazione delle madri e dei padri, nel fresco del tempio e nell’attesa sui sagrati, allora capiterà di incontrare quel giovane vestito di bianco vicino al sepolcro. La morte rimarrà ferma e il morire si innesterà nel risorgere.