Il Festival dei Filosofi lungo l’Oglio anche l’altra sera, a Brandico, è stato ospitato da don Giulio Moneta, rinfrancato da un’accoglienza al centro della questione «Noi e gli altri», coccolato da centinaia di amici, conversato fino quasi a quando la campana ha segnato il cambio del giorno. Avanzava lo straniero, chi viene da lontano,lo sconosciuto, nell’ambivalenza di una curiosità ad aprirgli la porta e accomodarlo alla tavola e insieme il sospetto,una volta sfamato, che potesse essere altro, nascondesse un assalto. Il sindaco di Brandico, Simona Plodari, tessera fervente del Festival, ha posto sul campo della conversazione la sua parte municipale,augurandosi di «uscire dalla chiesa un poco meno stranieri...».
Francesca Nodari, fondatrice e rinnovatrice, serata dopo serata, del Festival filosofico, ha riportato con sé le lezioni già offerte,introducendo il tema del rapporto tra «Noi e gli altri», l’io apparentemente conosciuto e l’altro io, empaticamente sosia esistenziale di ognuno. Il prof. Umberto Curi, docente di Storia della Filosofia, ha preso per mano «Lo straniero che ci abita» e conpiacevolezza oratoria e nettezza di sentimenti e ragioni ha sfogliato la questione, un lungo libro dal forestiero della grecità e della romanità ai nostri giorni. Non prima di aver ricordato che il Festival lungo l’Oglio di Francesca Nodari è tra le migliori misure culturali del genere in sede nazionale ed è ascoltato eseguito ovunque con notevole curiosità ed ammirazione, mostrando l’universalità della culturae della cultura filosofica proprio quando sceglie piccoli e grandi paesi, chiese e ville, cascine e piazze per svolgere un pensiero e un valore.
Ha ragione il leader del Festival, «è bello pensare in un luogo bello » e forse anche per questo cresce la limpidezza di una terra e di un’idea. Il prof. Curi boccia le modalità con cui si affronta il tema di chi avanza verso di noi dentro forzati flussi migratori. Nega la positività del «respingimento» e della cosiddetta «accoglienza » generica. Un’esplorazione storica nei millenni, narra il prof. Curi, definisce molto più avanzate le strategie umane dell’incontro con lo straniero. I greci e i romani misero al centro dei loro valori l’ospitalità, la lessero in ogni sfaccettatura, prima accolsero e quindi scrutarono le intenzioni di chi veniva da fuori. Prima l’accoglienza, ha attualizzato il prof. Curi e dopo, semmai, le impronte digitali. La tensione religiosa degli antichi ad aprire la casa allo straniero fu pari all’attenzione a verificarne la personalità. Ospite enemico(«hospes» e «hostis») si coniugano perfino in una comune matrice linguistica.Secondo il relatore, un impoverimento globale della politica, una soggezione all’economia e alla finanza hanno impoverito la lucidità ai grandi temi come la gestione morale dei flussi migratori.
La politica è debole, i suoi segnali non all’altezza. Il collasso del bipolarismo ideologico dopo la caduta del muro di Berlino (1989) ha fiaccato la politica, si assiste a un suo lento decadimento. Fukuyama, alla fine, errò nel considerare «La fine della storia» alla caduta del muro, ma profetizzò, giustamente,la sconfitta della politica. Ci sarebbe dadiscutere parecchio sulle responsabilità di una debolezzadella politica, caricata di temi totali e derubricata quando è scomoda.
E un giorno ci siederemo in uno spazio immenso per confessarci una colpa politica, governatori e filosofi, tecnici e ricercatori. La politica siamo noi, con il nostro sonno, i nostri risvegli, i ritorni di coscienza, il letargo morale. La politica non è forse anch’essa uno straniero a cui aprire la porta e dopo sottoporre a un esame severissimo?