Franck, ritenuto da Pietro Martinetti «la più grande figura religiosa del cristianesimo moderno», precursore della moderna filosofia della religione di Kant, come fa notare il curatore del testo Marco Vannini, sa unire alla perizia filologica e umanista, ereditata da Erasmo, la profonda esperienza spirituale del mistico. Accostando queste pagine pare di trovarsi di fronte alla trascrizione concreta di una virtù che comparve nel V secolo a.C. e sulla quale richiamò l'attenzione lo stesso Foucault: la «parresia». Ovvero il coraggio di dire la verità.
E per dire la verità, secondo i greci, occorre dire tutto ciò che si ha in mente non temendo di esporsi. Franck ne era consapevole, se è vero che intitolò la sua opera più importante «Paradoxa». Eppure la tensione continua allo spirito lo spinse a radicalizzare la sua posizione andando con Lutero oltre Lutero (nel 1526 aderì alla Riforma e divenne predicatore evangelico), nel costante richiamo all'opposizione tra interiore-esteriore, ch'è del tutto parallela a quella lettera-spirito. Per Franck l'unica chiesa possibile è quella invisibile, spogliata di tutti quegli elementi, segni, cerimonie che porterebbero soltanto ad una celebrazione dell'esteriorità, ad una fede quasi ostentata così come il solo ricorrere alla Scrittura, per di più in maniera letterale, senza capire cosa e a chi si parli, condurrebbe al grave torto di ridurre Dio ad una figura che ha «il comportamento e la mutevolezza degli uomini».
Si deve tornare al vero rinnovamento interiore, che è la rinuncia a se stessi predicata da Gesù al punto che Franck arriva a parlare di un Cristo implicito, ovvero di un Cristo che può essere conosciuto anche da coloro che non hanno alcuna nozione di lui, siano essi pagani o turchi. Alla lettera, l'autore acclude un libretto di Bünderlin, suo fratello in fede, che considera vero uomo spirituale poiché è pio e teme Dio. Tema, questo del timore di Dio, che caratterizza secondo il religioso l'uomo giusto (quasi volesse richiamare gli ultimi versi del «Qoèlet»). E Franck non esita ancora a raccomandare all'interlocutore di non fermarsi alla scorza della Scrittura perché, come diceva San Paolo, «la lettera uccide, lo Spirito dà vita».
Dunque si tratta non tanto di ricostituire la vera chiesa (sarà il Signore, quando ritornerà, a radunare il suo popolo), ma di aprire il proprio cuore a Dio, ovvero ascoltare la voce dello Spirito che parla dal profondo dell'anima. Fu il coraggioso monito di un uomo che non si riconobbe in nessuna chiesa del tempo e che, in un clima di persecuzioni, raccomanda all'amico di non rivelare «a cani e porci» il contenuto della missiva.