Si accompagna a testi, precetti, si lega a una cultura sterminata e a una passione religiosa alla genealogia. Forse vorrebbe conoscere il nome dei bambini che si siedono negli spazi degli adulti e sapere subito anche il loro nome. Sa e dirà «che la Memoria è il Nome» e senza tramandare il nome non è esistito nulla. Deve parlare sul tema in cui ti ascolta, per forza, il cielo e la terra, «La memoria di Dio», non intende concedere spazi a catture emotive, conversa per conquistarsi al suo popolo di stasera e farsi conquistare. La memoria dell'altra sera, a Corzano, è il consegnarsi il nome di ciascuno. Allora non dimenticheremo la sera, la memoria, Dio, allora «La memoria di Dio» trattata a Corzano, circolerà nel flusso della grande memoria universale.
Come quella memoria, ricorda sensibilmente Francesca Nodari e riprende il prof. De Benedetti, di quella grande stanza-galleria a Gerusalemme che si raggiunge lungo una scala importante e in fondo si nominano i nomi del milione e mezzo di bambini morti soffocati nei campi di concentramento. Un milione e mezzo di nomi, un milione e mezzo di memoria, un milione e mezzo di persone che scandiscono i nomi dei bambini e così consegnano i loro nomi. Nel nome sta l'anima e nel nome si sostanzia il racconto di Dio e dell'uomo. Ecco l'alleanza che rinasce nel respiro, la memoria di Dio che si trasferisce, soggettivamente e oggettivamente, il Dio che viene ricordato dalla persona e la persona che viene ricordata da Dio, annullando di nuovo, come fece quel sommo pontefice, la funzione pretenziosa di quegli «svegliatori» che ad ogni alba si rivolgevano a Dio per svegliarlo.
Si cammina nel campo della «teologia del debito», la funzione rovesciata della domanda e della risposta, la richiesta, al limite del diritto spirituale, di interrogare Dio su una presenza, di metterlo all'opera, di «farselo dipendente». Paolo De Benedetti affascina per la dispensa di un sentimento crescente di ispirazione, per il senso che l'accompagna di condividere un legame alimentato da cultura e preghiera. La preghiera, dice, è memoria di Dio e Dio esiste utilmente per preghiera di memoria. Ma non si cancella la dichiarazione dell'uomo per cui cita il nome di Dio per la ragione che crede in Dio. La memoria come fede, la dizione di Dio come atto di fede e consegna quotidiana al bisogno di Dio. È il bisogno di salvare la vita di chi non c'è più, con la denuncia costante del suo nome, in modo tale che anche noi, quando non ci saremo, ci garantiremo la stessa memoria e la stessa memoria di Dio. Del resto Dio ha bisogno che giunga a lui la nostra memoria.
La preghiera contiene la consapevolezza - e dunque la grandezza - della nostra pochezza e la certezza della memoria di Dio. Per questo, il dimenticare è tra le condanne più lancinanti del divino, «un nome durevole ai giusti e una dimenticanza per gli empi». La storia, continua il prof. Paolo De Benedetti, nel concetto biblico è trasmettersi, non indagare, trasmettersi il nome attraverso l'uso superlativo del precetto, incarnando il gesto e l'ora del gesto con il ritmo dell'orazione. Chi dimentica di nominare Dio e di essere nominato da Dio rimane solo in un deserto, il luogo in cui non c'è il nome di Dio e non c'è il nome dell'uomo. Noi dobbiamo sperare che Dio si ricordi dei nostri nomi e quindi accolga il racconto.
Cosa è accaduto della memoria di Dio durante lo sterminio nei campi nazisti? È accaduto che l'uomo ha cancellato il nome di Dio. Perciò, la preoccupazione del sindaco Fontana di un brivido nel considerare la ripetizione del male si cuce alla necessità di riprendersi il nome di Dio e di pretendere che Dio si ricordi di noi. Pretendere come certezza di una speranza, come coscienza di un debito pagato e dunque rielargito. «Aiutiamo Dio a starci accanto. Preghiamo ogni giorno».