Intanto Bidussa riflette sull'«Era della postmemoria», invita a rivedere i silenzi della compromissione, si interroga sul tempo in cui i testimoni saranno scomparsi - è un tempo che è già cominciato - e chiede maggiore competenza storica, la responsabilità civile di una condivisione complessiva, la riduzione delle nicchie per costruire un calendario dove indicare i giorni dell'identità nazionale. Eppure potrebbe essere un tempo di storia riconosciuta e di memoria agìta, dice Bidussa, la quantità tecnologica dispone di montagne eruditive, molti accennano a segni storici ma non ne intendono le congiunzione verso il «prima». Oggi manca la profondità dell'approccio, la scelta critica, si privilegia l'aneddotica con il rischio di tralasciare il valore del senso generale del messaggio. La shoah non deve perdere l'onore guadagnato anche del mito, ma non può perdere il valore dell'attualità, la conseguenza presente dello sterminio, la spinta a scegliere stabilmente il campo della vita libera. David Bidussa pone la domanda sul fine della storia, incalza a scegliere, ad affidare alla memoria alcuni dati e a lasciare all'oblio altri episodi. E si ritiene più rassicurato da quelle istituzioni che hanno scelto di iniziare la loro vicenda - vedi l'Europa - da date impressionanti, come il 27 gennaio, piuttosto che da momenti di vittoria.
Non si sceglie lo zenit, continua Bidussa, è meglio rinunciare all'ipotesi di «un'identità bancomat», a un'identità vantaggiosa sul piano delle convenienze e invece è giusto partire dalle colpe e dai rimorsi, dal punto più basso dei nostri comportamenti e risalire verso la limpidezza dell'etica personale e delle nazioni. Dunque, insiste David Bidussa, è importante amministrare la storia, scegliendo tra emozione e fattualità, virando alla larga dal rischio di santificazione del passato, da una certa teatralità e evitando di accumulare il tutto in una sola epopea con il pericolo di banalizzare. A differenze dei francesi, per esempio, sostiene Bidussa, i quali si sono tenuti stretti la data centrale della rivoluzione, noi italiani abbiamo bruciato molte date e ne abbiamo inventate di inutili, così che l'identità nazionale si è frammentata ed è stata messa in discussione.
Si torna alla questione centrale, alla necessità di scegliere come amministrare la storia, come vivere l'era della postmemoria. Abbiamo bisogno di un calendario pubblico che parli a tutti. Mentre circolano più calendari corporativi sul piano dell'amministrazione della storia e il tentativo costante, efficiente e convincente di un calendario vasto e condivisibile si allontana a vista d'occhio. Prevale, al momento, la saga dei calendarietti parziali e insidiosi, al nord e al sud del Paese, crescono date intrecciate di piccoli interessi paraistituzionali e viene tenuta in una dolorosa prigionia l'idea per la costruzione di una storia condivisa e amministrata, vissuta e studiata a scuola, replicata nelle discussioni pubbliche, formata e riformata dai genitori.
Il sindaco Elvio Bertoletti, in apertura, ringraziando la sensibilità del parroco, don Francesco Bertoli, ha richiamato il pericolo di una ripetizione del disastro. Forse, lavorando intorno a questa densissima preoccupazione, potremmo crescere la tensione verso l'identità nazionale della memoria. Forse.