Attraverso l'analisi critica delle categorie politiche elaborate dai classici del pensiero filosofico moderno, Esposito ha sottolineato nelle sue ricerche i limiti del politico nell'età contemporanea, in quanto organizzazione che si confronta inevitabilmente con la vita biologica. Cosa si deve intendere per natura? Quale legame intercorre tra natura e storia? Sono questi, soltanto, alcuni degli interrogativi che sottendono il lavoro trentennale dello studioso. «Per natura - esordisce il filosofo - s'intende lo spazio, gli elementi, gli eventi che ci circondano, o sono dentro di noi, cui non abbiamo dato luogo noi stessi, che ci precedono o seguono, indipendentemente da noi. Per esempio il terremoto del Giappone o l'uragano di New York. Ma anche lo sbocciare dei fiori in primavera e la bellezza del Golfo di Napoli. Poi un tipo particolare di natura è la natura umana.
Circa il rapporto con la storia, già la natura del primo tipo - gli eventi naturali - s'incrociano con essa. La stessa «ominazione» - vale a dire l'origine della specie umana - è un evento insieme naturale e storico. Naturale perché riguarda appunto la costituzione della nostra natura; storico perché avviene nel corso del tempo, secondo quanto è stato chiarito prima da Darwin con la sua teoria dell'evoluzione, e poi da studi sempre più perfezionati sull'origine dell'universo, del nostro mondo, della vita in genere e della vita umana in particolare (anch'essa evoluta nel tempo). Ma anche riguardo le catastrofi suddette, la storia s'incrocia con la natura, almeno quanto alle condizioni ambientali e agli effetti degli eventi naturali. Per esempio, gli effetti negativi del terremoto in Giappone sono stati ridotti dalla costruzione di strutture abitative antisismiche e aumentati dalla presenza di una centrale nucleare. A sua volta il terremoto ha avuto un effetto storico, nel senso che ha cambiato, riducendoli o azzerandoli, i programmi nucleari di mezzo mondo.
Dunque, storia e natura s'incrociano e sovrappongono sempre. Ma non al punto da potere eliminare qualcosa di naturale che resiste alle trasformazioni storiche. A partire dalla stessa morte che gli uomini non sono riusciti, e forse mai riusciranno, a vincere, neanche con la loro straordinaria potenza tecnologica e biotecnologica. Come la natura non è in grado di risolvere in sé la storia, così la storia non può mai storicizzare l'intera vita naturale, umana e non umana». In che termini, dunque, ricollegandoci anche alla Sua fortunata trilogia - «Communitas», «Immunitas», «Bios» - si può parlare oggi di biopolitica? «Si tratta di un termine - ha precisato Esposito - che ha una lunga storia, fissato una prima volta da Michel Foucault e poi elaborato soprattutto dalla filosofia italiana contemporanea. Con tale termine s'intende un'implicazione reciproca, sempre più forte, tra politica e vita biologica. Oggi tutte le agende governative, i programmi politici interni e le grandi questioni di politica internazionale hanno a che fare con la vita materiale degli individui e delle popolazioni.
Dai problemi della biogenetica a quelli dell'immigrazione, dalle leggi sulla salute alle guerre cosiddette umanitarie. Ciò rende il diritto formale sempre meno capace di gestire vicende legate ai corpi e al carattere differenziale degli esseri viventi. Il «bios» e il «ghenos» tendono a sostituire, o almeno a condizionare, il «nomos», la legge generale e astratta. Naturalmente - conclude lo studioso - il fenomeno biopolitico può essere declinato in termini positivi, affermativi, nel senso dell'espansione della vita, o anche in termini negativi, mortiferi, in senso razziale o di dominio sulla vita».