Ritrovare il coraggio del «pensiero interrogante che si alimenta di critica e di autocritica», in un mondo che appare sempre più «senza centro e senza misura», segnato da profondi squilibri.
Da Ivano Dionigi sono venute le prime sollecitazioni della diciottesima edizione di Filosofi lungo l'Oglio, il festival diretto da Francesca Nodari che ha iniziato ieri sera il suo lungo cammino - due mesi di incontri e riflessioni itineranti - nell'auditorium San Barnaba di Brescia.
«Osare». «Osare» è la parola guida della nuova edizione, e la sindaca Laura Castelletti ha subito riconosciuto questa capacità a una rassegna che «negli anni ha saputo conquistare pubblico con relatori di grande prestigio, e ha tessuto reti sul nostro territorio».
Nell'anno di «Bergamo Brescia Capitale italiana della cultura», nelle due province profondamente colpite dalla pandemia, «osare - ha detto Francesca Nodari - vuol dire anche tornare ad avere fiducia, recuperare il coraggio che la paura di quei giorni ci ha fatto un po' perdere».
Ivano Dionigi, latinista tra i più autorevoli, è stato professore ordinario di Lingua e letteratura latina e rettore dell'Università degli Studi di Bologna. È presidente della Pontificia Accademia di Latinità. Ieri ha concentrato l'attenzione su tre grandi squilibri che mettono in bilico le nostre identità.
Anzitutto, lo squilibrio sociale: «L'immigrazione sta decretando il tramonto dell'eurocentrismo. La storia aveva magnificato le sorti dell'Europa, ma ora ci sono anche la geografia, che con la globalizzazione ha dilatato i confini, e il criterio demografico, che rende risibili i parametri individuali e localistici». Costruire muri non serve, occorre piuttosto un «miracolo traduttivo»: «Dobbiamo dialogare finché non troviamo un modo di capirci parlando ciascuno la propria lingua. Il dialogo è il nostro destino, la traduzione è la lingua dell'Europa».
Il secondo squilibrio è tecnologico: «La tecnica non è più strumento, ma una protesi dell'uomo che lo perfeziona. Si passa dall'umano al transumano e al p ostumano». Ma la tecnica, come ammonisce Prometeo, da sola non salva. «È necessaria lapolitica, che oggi è però locale, mentre la tecnica saldata all'economia è globale». A Prometeo bisogna allora saper affiancare Socrate, «il profeta dell'umanesimo. Colui che sa di non sapere, che ha una concezione dell'uomo non solo come biologia ma anche come biografia, interessato non solo ai mezzi ma anche ai fini, all'interpretazione e non alla semplificazione della complessità». Servono insomma «le coordinate di un nuovo umanesimo. Riscoprire il pensiero interrogante. Riappacificarci col tempo, oggi messo all'angolo dallo spazio. Non guardare al particolare ma riappropriarci della visione dell'insieme».
Serve, infine, una «ecologia delle parole», per contrastare lo squilibrio linguistico a causa del quale «abbiamo tanti mezzi di comunicazione, mentre sempre più diminuisce la capacità di capirci. È difficile comunicare, si è spezzato il patto tra parole e cose. La cosa non c'è più, perché viviamo in un mondo smaterializzato». Bisogna allora recuperare il senso profondo di alcune parole chiave. Tre di esse, Dionigi le nomina in latino: «intelligere, interrogare, invenire». Impegnarsi a «cogliere la profonda relazione tra le cose»; praticare l'arte decisiva del domandare; e scoprire, nel senso di «ritrovare ciò che abbiamo dimenticato e inventare quanto di nuovo ci viene richiesto».