La prof. Di Cesare indica il pericolo autentico del nostro tempo: «Non è l'individualismo, invece è l'esistenza ripiegata su se stessa, la politica separata dalla vita, compresi i due annidi polis negata. Questo ripiegarsi su di sé e dentro di sé nega la proiezione, l'uscire dall'io, finisce per creare una congestione dell'io», una sorta di collasso, di soffocamento di se stessi. «Il futuro - aggiunge Donatella Di Cesare - ci fa paura, pensiamo di essere i primi ad essere gli ultimi e agitiamo apocalisse e guerra».
Proprio quella guerra sulla porta di casa, manifesta esposizione tragica dell'io incapace di riconoscere la precedenza dentro di sé dell'altro e quindi a creare il disvalore dell'essere nemico. La relatrice vede nel capitalismo avanzato la causa centrale di un'epoca senza alternative, la sentenza di un sistema chiuso e basterebbe, invece, mettere sulla mappa mondiale i sistemi socio-ideologici-economici in circolazione per dissentire. Ma si cerca altro e a parte questo inciso, la prof. Di Cesare viaggia su un percorso peril resto convincente e apprezzato dal popolo di Francesca Nodari, visti gli interventi a fine conferenza.
«E nel nostro Novecento che si accede e si tocca un concetto di alienazione - continua la filosofa - dove emerge un'estraneità insuperabile dell'io che non si sente a casa sua e che Freud riesce a fare respirare con la scoperta dell'inconscio. Insomma, c'è un estraneo che abita in ogni io e non è altro che precedente all'io, è proprio l'altro,il detentore delle radici, della testimonianza del prima, il testimone dell'identità, dell"'altro-io". Questo soggetto oggettivante è null'altro che la lingua, il modo unico con cui si crea una relazione, in assenza della lingua spingeremmo noi stessi verso un'alienazione incontrovertibile».
Di Cesare usa un'espressione che ti rimane addosso e porti a casa: «L'esistenza è un ostello provvisorio di cui non abbiamo le chiavi. Noi siamo stranieri a noi stessi. Non è più l'io cartesiano che sbircia dalla fi- nestra e razionalizza l'altro, poiché esiste già un altro dentro. Lo sviluppo dell'etnologia e dell'antropologia ci ha aiutato in questo percorso, in questa primizia dell'altro sull'io e quindi in questa dualità che è unicità». Riappare il filosofo "misterioso" per la sua biografia, quell'Heidegger il quale dichiara non tanto la disponibilità dell'io per se stesso, quanto «l'importanza delsoggetto a esserci, poiché ognuno di noi è stato gettato nel mondo e ognuno di noi non dispone di sé in assenza dell'altro. L'io, da solo, è vulnerabile e finito».
Percorsi. La conclusione è coerente con le premesse: «L'io è sempre preceduto dall'altro che ha parlato prima di me.La lingua è la dimostrazione di ciò. Qui si evidenzia il contatto con Massimo Cacciari. Riconoscere l'estraneità di se stessi dischiude percorsi verso l'estraneità dell'altro e dunque in questo viaggio si riconoscono i pericoli dell'uso del noi e del voi, il pericolo del totalitarismo del noi. Abbiamo bisogno dell'altro che ci abita. L'altro è la nostra libertà».