Dobbiamo immaginare che questo processo di nominazione sia avvenuto del tutto arbitrariamente? Op- pure, le parole originariamente coniate per indicare i diversi animali erano in qualche modo «appropriate», significative dell’aspetto e dell’indole di questi? In una sua lirica («La luna») Jorge Luis Borges rievoca quel brano della Bibbia e la questione – dibattuta nei secoli a seguire – del rapporto tra il linguaggio umano e il mondo: «Credevo fosse il poeta – scrive Borges - quell’uomo / che, come il rosso Adamo in Paradiso, / impone a ogni cosa il suo preciso / e veritiero e non saputo nome».
Si intitolerà «Quali parole per nominare questo presente» la lezione magistrale che Ivano Dionigi terrà lunedì 13 giugno alle 21,15 a Caravaggio, nel Chiostro di San Bernardino, in viale Papa Giovanni XXIII, 17 (in caso di maltempo, ci si trasferirà nell’auditorium del Santuario). La conferenza, a ingresso libero con la possibilità di versare un contributo, rientrerà nell’edizione di quest’anno della rassegna itinerante Filosofi lungo l’Oglio, che fino al 31 luglio farà tappa in numerose località delle province di Brescia, Bergamo e Cremona).
Professore emerito di Letteratura latina e già rettore dell’Università di Bologna, nel marzo del 2019 Dionigi era stato invitato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana a inaugurare con una lectio («Il palazzo della memoria») la Cattedra «Papa Francesco»; in quell’occasione era maturata l’idea di un libro che è stato pubblicato il mese scorso, «Benedetta parola. La rivincita del tempo» (il Mulino, pp. 184, 15 euro, disponibile in formato digitale a 10,99 euro). Secondo Dionigi, una crescente trascuratezza della dimensione linguistica e comunicativa oggigiorno va di pari passo con una «rovinosa separazione del potere dal sapere, della politica dalla cultura». La nostra – egli sostiene - è «un’epoca di paradossi e ossimori: a fronte della globalizzazione e del suo profeta Internet reagiamo con un apparato di muri fisici e mentali; a fronte del web planetario e del maximum dei mezzi di comunicazione sperimentiamo il minimum della comprensione; a fronte della complessità e moltiplicazione dei problemi economici, sociali e morali operiamo una riduzione e un impoverimento del lessico. Si è rotto il patto, di catoniana memoria, tra le “cose” (res) e le “parole” (verba): rem tene verba sequentur (“Possiedi l’argomento, le parole seguiranno”). La parola non tiene più dietro alla cosa, divorzia da essa e persegue una sciagurata autonomia».
Alcuni anni fa Roberto Calasso, ne «L’innominabile attuale», aveva sottolineato gli effetti depressivi di un linguaggio e di un pensiero che si riducano a un «ronzio ininterrotto», senza valore di verità né ancoraggi nel reale; da parte sua, Ivano Dionigi afferma che oggi «noi abbiamo bisogno di fare pace col tempo, e la parola, carica di storia, tradizione, paternità, garantisce il primato e la rivincita del tempo. Il tempo, come ha ricordato anche Papa Francesco, è superiore allo spazio, perché è la nostra dimensione costitutiva: personale e sociale. Lo spazio, concluso e statico, è la sommatoria delle forze e delle realtà del presente; il tempo, aperto e dinamico, riannoda i fili sia del passato, e quindi della memoria e della riconoscenza verso i trapassati, sia del futuro, e quindi del progetto (“lo slancio in avanti”) e della responsabilità verso i nascituri. Possiamo sopportare la contraddizione di essere giganti e planetari rispetto allo spazio, nani e provinciali rispetto al tempo?». «A pagare il prezzo più alto di questa cesura e censura del tempo – scrive ancora Dionigi - sono i giovani, i quali trovano staccata la spina della storia e scontano l’impatto di una simultaneità tanto assoluta quanto effimera».