Francesca Nodari, giovedì sera, nella cornice della sua casa, la cascina cinquecentesca delle Vittorie, accoglie Enzo Bianchi da amica e da sorella, gli esprime il bene e la stima come il popolo di tante terre oltre la pianura. Qui, nel catasto di Villachiara, dopo il saluto affettuoso e meditato del sindaco Laura Bonfiglio, il già priore di Bose si trova davanti alla leader dell'evento e di fronte a un popolo sempre ricco di presenze e di ascolti. In campo è il duello eterno tra amore e morte. Bianchi lo affronta scandagliando i millenni della cultura greca ed ebraica, in una confidenza stretta con la Bibbia nel richiamo di insegnamenti passati non sempre precisi di questo grande testo della vita per cui i cristiani vengono a perdere molti messaggi incandescenti sulla ineluttabilità della morte e sulla supremazia ragionata dell'amore.
La luna. Analisi tridimensionale dell'amore, comincia Enzo Bianchi, l'eros dei greci, che non è il nostro erotico, certo, ma sicuramente dichiara la passione dei corpi, una gratuità disinteressata, una congiunzione che oggi appare ricca di tante diverse unioni. E quindi, dopo l'eros, ecco l'amore-fina, come i greci anche oggi lo definiscono, l'amore di fedeltà e di certezza morale, l'amore pieno di reciprocità.
Eppure - commenta Enzo Bianchi, secondo pause e tonalità che toccano la luna, lì in mezzo alla grande aia delle Vittorie - a questo amore manca qualcosa, è carente di immortalità, di una rassicurazione all'oltranza, proprio ad andare oltre l'umano, oltre quello spicchio di luna che si tocca ancora. Serve il Cristianesimo per arrivare ad un amore di "agape", di comunità messianica.
Cos'è, del resto, la Messa - riflette Bianchi - se non un' "agàpe" fraterna e permanente, in cui compare il mistero dell'amore che vince sulla morte per via di un sacrificio estremo dedicato proprio all'amore?
Ma di che amore si parla, quale amore si sceglie per duellare con la morte e vincerla? Si tratta di un amore del nuovo patto testamentario, quello proclamato da Giovanni, l'amore decifrato da Gesù, «amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi»: attenzione, non una reciprocità priva di riferimento, ma impostata sulla qualità assolutamente libera e senza nessuna condizione, l'amore incondizionato di Gesù per l'uomo, di quell'amore si nutre lo scambio tra persona e persona e allora, se ci si sarà nutriti di questo tipo di dono che si affida a tutti, ai nemici, che fonda il perdono, che non presume nessun ripensamento e si eleva sull'altro, allora la morte sarà vinta.
Allora, sostiene Enzo Bianchi, della ricchezza di quell' amore, di quel patrimonio necessario alla vita di Dio e del mondo si alimenterà il Creato, perché non sí pub fame a meno. E se Gesù, morto sulla Croce per quell'amore, fosse stato lasciato nel sepolcro, allora la terra non avrebbe di che vivere senza il suo amore e Dio non potrebbe dominare, nell'amore, l'universo.
Ecco, verso le 22,30 arriva la morte. Essa è nemica, essa è considerata ingiusta da ogni persona, da credenti e da atei, la morte è umanamente inaccettabile a meno di arrendersi per dolore, per stanchezza. Ma un conto è la resa, un altro conto è l'accettazione, il non temerla al di là della ragione.
Il duello. Enzo Bianchi ribadisce i termini del duello: con l'amore -filia, con l'amoreeros, la morte sbaraglia il sentimento umano, la morte spaventa, annichilisce. Serve rimettere in campo l'amoreagàpe di Gesù. La morte si illumina di amore e perde ogni sua punta di terrore.