Il filosofo pone, in particolare, l’attenzione sull’uomo dei consumi e delle prestazioni, del fare e dell’agire, della precarietà e delle rendite finanziarie. In breve, l’homo œconomicus contemporaneo, che suscita interrogativi profondi. Come: che significa abitare il mondo? Gestirne l’imponderabilità? E che ne è del soggetto sempre più dimentico della sua finitudine, in bilico tra delirio di onnipotenza e un’umanità – la sua – ridotta a mera prestazione? Custode di un creato che denigra? Un adepto del dio denaro stretto nella morsa di una noia che non lo abbandona o, al contrario, frustrato da una flessibilità lavorativa e sentimentale che gli impedisce di guardare serenamente al futuro? In un mondo malato – dalla bolla finanziaria alla crisi politica fino a quella relazionale – per Natoli abitare il mondo significa decidersi facendo attenzione a non confondere la volontarietà con la spontaneità.
Di qui – in un moltiplicarsi di istanze: sociali, economiche, ecologiche, deontologiche – prende corpo, una torsione ulteriore dell’etica del finito nato liana che non intende tanto suggerire una limitazione dell’umano, bensì una sua rivalutazione nel recupero delle virtù e nel liberare più possibile quella potenza che ciascuno di noi è. Conosciuto come il filosofo dello stare al mondo, Salvatore Natoli, già docente di Logica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Venezia e di Filosofia della Politica presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano, insegna, attualmente, Filosofia Teoretica all’Università degli Studi Milano Bicocca.
Milena Moneta - Bresciaoggi, 14 ottobre 2010