E coglie uno dei sensi magistrali del Festival, composto da una perfetta organizzazione, un'incredibile energia intellettuale e organizzativa della presidente Nodari e, appunto, un'ostinazione esemplare nel portare avanti una simile impresa da 15 anni.
Tocca a lei, nella sala consiliare di Roncadelle, secondo le regole di distatiziamento e di presenza-assenza, tocca a lei, Francesca Nodari, svolgere la sua lezione su «Inutilità dell'umano», sfida coraggiosa e senza condizionali per sottolineare di stare tutti su una brutta china, su un confine stretto dove spinge da dietro la fila dell'odio e dell'invidia, della maldicenza e soprattutto di un egoismo votato al cinismo e all'indifferenza.
Si è disumani, spiega Nodari, quando si elimina la presenza dell'altro insieme a un disporsi per l'altro. Lei ricorda la lezione del cardinale Zuppi, nel suo libro «Odierai il prossimo tuo» in cui l'arcivescovo di Bologna, insieme a una concentrazione di considerazioni amiche (Casper, Bianchi, Augé, De Benedetti) chiede alla cristianità di essere con l'altro oppure di non essere, senza condizioni. Non è buonismo, insiste Francesca Nodari, è dichiararsi per quello che si è, cristiani e altruisti, non concedendo alibi, proprio ai professionisti dell' anti-buonismo i quali cercano di buttare in retorica quanto è sostanza e sono loro, invece, i primi sofisti e retorici nella partita tra umanità e disumanità. Quindi, Nodari dona la notizia bella per gli amici del Festival e della cultura: «Esce in Francia un testo di Marc Augé che raccoglie tutti i suoi interventi a Filoso lungo l'Oglio, si intitola "Condividere la condizione umana". Una grande soddisfazione e il riconoscimento di un buon agire culturale e morale lungo il sentiero di quell'Essere Umani nostra matrice di questa quindicesima rappresentazione».
L'uomo iperconnesso. Allora, cosa ci manca per stringere l'appartenenza a un salvifico e soddisfacente umanesimo della vita? Casper ci aiuta quando sostiene che è la prima volta nella storia dell'umanità in cui tutti possiamo immaginare di vivere nella stessa città. Digressione apparente, il nostro pensatore ebreo, Haim Baharier, chiama il Covid usurpatore. Dunque, liberarci con una violenza sotterranea dell'umanità è come essere figli del Covid, usurpatori di se stessi e dell'altro.
L'enciclica «Fratelli Tutti», ricorda Nodari, invita a un ritorno alle origini del bene, all'incontro reale con il nostro prossimo. Viviamo nella solitudine dell' «uomo iperconnesso», riduttiva per la connessione reale. La filosofia ha il compito di portare alla superficie le questioni della vita. ll pensiero, alla fine, non può accettare oltre di vivere una «felicità sedentaria», in una chiusura mefitica, altrimenti compare presto l'inutilità dell'umano. Essa sí manifesta, al culmine, nel silenzio sulla morte dell'innocenza. Il problema dei problemi è l'amore di sé che pervade la persona: conta sempre più un volgare carpe diem, rischiamo di fermarci allo sguardo che pietrifica l'altro (Sartre) e finisce di esistere soltanto l'autosalvazione.
Dobbiamo partire da un ribaltamento dell'egoismo, accompagnandoci alla filosofia, la quale non ci basta più come amore del sapere; si è alla ricerca di una filosofia intesa come saggezza dell'amore (Levinas). Dovremo essere per l'altro, guardiani di nostro fratello: questa è la responsabilità.
«Francesco Miano - conclude Nodari - l'ha ben esplicitato: ognuno di noi è chiamato a rispondere con una responsabilità illimitata, fino a consegnare il pane, il mantello. Si tratta di una responsabilità incarnata. Serve un sussulto di umanità e alla fine ognuno di noi farà la sua parte. Ce la faremo».