Appartenere alla propria notte, qui e subito, è una suggestione fascinosa, uno sguardo allo specchio. In fondo è l'impresa di questa traccia dell'«Essere Umani» inseguita dalla presidente dei Filosofi lungo l'Oglio, Francesca Nodari e l'altra sera, con il suo popolo itinerante, nella bella palestra dell'oratorio a Urago d'Oglio per ascoltare questa notte difficile e ferma all'ora terza, dove non si conosce se avanza o è bloccata, dove si dubita di una ventura dell'alba, di un'uscita naturale verso il chiaro. Saluti del sindaco Brugali, dell'assessore Chittò, del presidente Fondazione Cogeme, Archetti.
Il contributo del prof. Valerii - ha introdotto Nodari - rientra pienamente nell'importanza di fare cultura in termini di analisi sociologica e in una forma letteraria classica rinvenuta felicemente come il romanzo...».
«Viviamo un turbamento inizia il prof. Valerli e dobbiamo uscirne, ripercorrere quanto ci è successo, come siamo arrivati qui. Parto da tre titoli: il primo è di Fulaiyama, «La Fine della storia»: 1989, il muro di Berlino viene abbattuto e tutto sembra finire; il secondo libro è «Il mondo è piatto» di Friedman, si riferisce alla piattezza di un potente imbattibile intemet che sembrava liberarci da ogni chiusura; gennaio 2019, il settimanale " Economist" registra tutte le montagne economiche vinte; ma, a maggio di quest'anno, sempre l'" Economist" offre la copertina, «Goodbye Globalisation».
E dopo 30 anni parliamo ancora di una seconda guerra fredda. «Nel libro continua il relatore appare la società del rancore, c'è la sensazione di aver subito un torto di non essere stati riconosciuti in un merito. Il modello dello sviluppo storico del nostro Paese si è rotto. La certezza era che le nuove generazioni sarebbero andate incontro a condizioni migliori rispetto al passato: erano anni in cui i figli di contadini e operai con i figli dei ricchi costituivano il Centro del Paese. Un ciclo storico straordinario: lavoro, consumo, rialzo del livello di istruzione, rete di protezione sociale. L'attuale generazione di giovani è destinata a condizioni peggiori delle generazioni precedenti».
Crisi. La crisi colpisce anche nella dimensione immateriale: negli ultimi anni, sottolinea il prof. Valerii, abbiamo assistito alle narrazioni post ideologiche su cui ci eravamo impegnati a costruire la nostra identità: la fiducia nel trovare una nuova patria nell'Europa Unita, sogno, in parte, a pezzi; la seconda narrazione, la globalizzazione: sarebbe stata una ricca tavola imbandita a cui ci saremmo accomodati e invece ci siamo accorti di essere tanti esclusi; la terza narrazione ci suggeriva che Internet avrebbe distribuito giustizia e democrazia e invece abbiamo scoperto fake news, un'anarchia insopportabile, un antisisterna comunicativo.
Siamo nel pianeta dell'antropologia dell'insicurezza. E' nato un nazionalismo protettivo, chiuse le frontiere, via i poveri. Il pericolo è la deflazione dello spirito, si guarda indietro, alla trappola del nostalgismo. «Io invece - conclude il prof. Valerii - credo nella cultura della speranza. Credo nel rilancio della parte migliore che è dentro di noi. La speranza come fondamento antologico che dà una spallata all'egoismo nazionalistico, alla chiusura verso gli altri, che ci costringe ad alzare il capo verso la certezza che il nostro io nell'altro, reciprocamente, è ciò su cui dobbiamo investire. Con la speranza della reciprocità si anticipa l'alba, e si chiude l'antropologia dell'insicurezza, lo scuro più cupo della nostra notte».