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Lunedì, 18 Novembre 2019 20:33

Tornare a nascere - intervista a Silvano Zucal

Silvano Zucal Silvano Zucal

Silvano Zucal è docente ordinario di Filosofia teoretica presso il Dipartimento di filosofia dell'Università di Trento. Lo studioso, volto noto nel panorama culturale laico e cattolico trentino, vanta una pluridecennale ricerca nell'ambito della filosofia della religione, come testimoniano i suoi saggi su Romano Guardini. Zucal però si è ritagliato un posto di riguardo a livello nazionale e internazionale grazie ai suoi studi intorno alla filosofia «dialogica», cominciando da Martin Buber, passando per Ebner. L'approdo al pensiero femminile è stato quasi inevitabile. Tra i suoi libri più originali possiamo citare Ali dell'invisibile, edito nel 1998 e aggiornato negli anni successivi, incentrato sull'angelologia soprattutto novecentesca.

Zucal ci sorprende ancora con il volume Filosofia della nascita uscito nel 2017 da Morcelliana (cf. Regno-att. 12,2017 ,355). Proprio per quest'opera, il docente trentino è stato insignito, nel luglio scorso, del «Premio internazionale di Filosofia Filosofi lungo l'Oglio Un libro per il presente». Il riconoscimento, giunto alla VIII attribuzione, sancisce l'originalità della ricerca di Zucal nell'ambito del pensiero dialogico e di quello femminile; nel Novecento esso testimonia un cambio di paradigma: del passaggio «dello statuto esistenziale dell'uomo come «essere-per-la-morte» dominante nel Filosofia ornare a nascere Intervista a Silvano Zucal pensiero greco e per gran parte del periodo successivo, a quello di «essere-per-la-nascita».

Abbiamo intervistato il professor Zucal.

Come si sente in compagnia di nomi come Massimo Cacciari, Paolo De Benedetti, Marc Augè e altri che hanno ricevuto prima di lei questo premio internazionale?

«Ovviamente provo un certo disagio. Sono personalità straordinarie del panorama filosofico italiano e internazionale (come anche Bernhard Casper e Christos Yannaràs) e quando mi è stata comunicata la notizia del premio mi risultava difficile apparire accanto a questi grandi pensatori».

Però tra i premiati non c'è nessuna donna... Lei è uno dei filosofi più attenti al pensiero femminile: quanto lunga è la strada affinché le donne entrino pienamente dentro l'universo filosofico che da sempre si declina al maschile?

«Per ora non ci sono donne insignite del premio, ma credo che in futuro ce ne saranno sicuramente. Vorrei sottolineare che la presidente della Giuria internazionale era Francesca Rigotti, italiana d'origine e docente in Svizzera. È anche una donna Francesca Nodari, l'organizzatrice del Festival e quindi anche del Premio internazionale: quest'anno poi lo stesso tema del "Festival dei Filosofi lungo l'Oglio" era "Generare", a testimonianza di una sensibilità già orientata al femminile. Ormai una cultura filosofica attenta non può ignorare pensatrici straordinarie come María Zambrano, Simone Weil, Hannah Arendt, Martha Nussbaum...».

Le prime tre filosofe che ha citato e che hanno riflettuto molto sulla nascita, non hanno avuto figli. Secondo lei è un particolare ininfluente? Oppure si rischia di perdere concretezza?

«Per quanto riguarda Zambrano e Arendt, le ragioni che hanno impedito a entrambe d'avere figli erano semplicemente dovute al fatto che tutte e due sono state perseguitate e vittime (non è stata una scelta libera). L'esilio è stato il loro prevalente destino. Come racconta Arendt scrivendo al marito "quando volevamo figli dovevamo fuggire dai nazisti, quando siamo stati al riparo negli Stati Uniti non era più l'età". Non c'è in loro alcuna assenza di concretezza, semmai si può dire che avevano uno sguardo penetrante sugli eventi della vita frutto del loro essere donne in quanto tali; anche il non avere figli allora non le toglie una sapienza peculiare sulla dimensione del "generare" e del nascere».

La teologia: sinora scritta da maschi celibi

Carla Canullo insiste sulla dimensione concreta e materiale della nascita con al centro il corpo della donna che si trasforma.. .

«Canullo è una delle pensatrici italiane più raffinate che, partendo proprio dall'esperienza vissuta della maternità, ne offre una lettura filosofica straordinaria, basti pensare alle sue pagine sulla "dilatazione" del corpo femminile in gravidanza che è ospitalità, è una lezione di ospitalità. Chi non si "dilata" non ospita, verrebbe da dire, e qui potremmo trovare anche un significato politico oltre che intimo e personale dell'esperienza del materno».

Il cristianesimo si fonda su una nascita, a prima vista del tutto naturale. Gesù nasce da una donna, come tutti noi. Come mai allora anche la teologia ha spesso dimenticato questi temi?

«In prima battuta potrei dire che la teologia fino a oggi e con poche eccezioni è stata scritta esclusivamente da maschi e per lo più celibi. Questo vale soprattutto nel mondo cattolico. Nel mondo evangelico, in Svizzera e in Germania, abbiamo molti testi sulla nascita, su "Gesù nato da donna", sul femminile, scritti da teologhe, purtroppo non ancora tradotti in italiano. Per citare almeno due nomi: Ina Praetorius con la sua opera dal titolo Iniziare sempre di nuovo. Testi sul pensiero della nascita (2011) e Andrea Günter con la monografia La speranza femminile del mondo. Il significato della nascita e il senso della differenza di genere (2000)».

Come vede lo sviluppo della devozione ma anche del simbolismo legato a Maria rispetto alla riflessione sulla nascita?

«Un simbolismo effettivamente reticente ed edulcorante rispetto all'evento della nascita carnale. Una forma di rimozione di quella realtà. Si dovrebbe ridare lo spazio adeguato alle "narrazioni femminili" come accade nella storia di Elisabetta e di Maria, le due cugine che si scambiano a vicenda parole di benedizione per ciò che è capitato nelle loro vite e nei loro corpi. Donne che si sono lasciate sorprendere dall'impossibile. Maria, soprattutto. Si sono avventurate in percorsi incerti in cui hanno tentato di coinvolgere i loro uomini renitenti e resistenti all'idea di un Dio implicato nel sorgere della vita. Lucia Vantini, una brillante teologa italiana, ha sviluppato riflessioni potenti su questo punto. Occorrerebbe passare da una mariologia troppo simbolica a una mariologia finalmente concreta».

Una filosofia di genere, femminile, non può essere che relazionale in quanto distrugge il paradigma di un «io» autocentrato, assolutamente autonomo, mai dipendente da nessuno. È così?

«Assolutamente sì. Noi nasciamo in relazione, una relazione intimissima con la madre e poi, dato che l'essere umano, diversamente da molti animali, nasce sempre "prematuro", siamo incapaci di sopravvivere senza l'accudimento materno, paterno e senza l'insieme delle reti relazionali che ci sorreggono. L'io indipendente è una forma di delirio. Una patologia. Noi siamo nati "vincolati" (il cordone ombelicale lo chiarisce) e cerchiamo in tutta la nostra esistenza forme di relazione appaganti. Non è solo quando saremo anziani o malati che cercheremo d'essere accuditi. L'accadimento e la relazione forte è un bisogno umano permanente anche se sotto le nostre maschere di presunta autonomia vogliamo nasconderlo».

Hegel e la maternità

Proprio una rivoluzione. Però, come ha sottolineato Adriana Cavarero, la parola «concetto» deriva da «concepire» . . quindi le donne hanno per certi versi fatto da sempre filosofia.

«Gli uomini, dice Cavarero, hanno rubato questa dimensione al femminile portandola nel cielo filosofico dell'astrazione. Basti pensare a Socrate e alla sua maieutica, dove il lavoro della levatrice diventa "lavoro filosofico"».

Se s'investiga con attenzione tra le pieghe delle riflessioni «maschili» si trovano squarci inaspettati, come Hegel che parla di maternità e del rapporto madre feto.. .

«Questa, devo dire, è stata per me una scoperta incredibile. Il serissimo Hegel che si occupa anche di dare un senso filosofico alle "voglie" in gravidanza... Dice comunque cose splendide sulla madre come "genio del bambino" intesa come nume tutelare. E parla del "salto inaudito" della nascita perché la fuoruscita dal grembo materno è indubbiamente un evento traumatico e luminoso insieme».

«Nasce l'uomo a fatica, / Ed è rischio di morte il nascimento». Così un verso del Canto notturno di un pastore errante dell'Asia di Giacomo Leopardi, ascrivibile al gruppo di pensatori come Emil Cioran e Günter Anders che maledicono il giorno della nascita. Ma nascere comporta ferita e dolore, è già morte?

«La filosofia della nascita non è neutra. Ci sono le visioni tragiche del nascere come quelle di Leopardi che riprende tutta la visione greca del mito del Sileno ("meglio sarebbe non nascere e ove nati morire al più presto") e quelle che, pur sottolineando il trauma del nascere con il dolore per la madre nel parto e con quel primo grido del nuovo nato che ha abbandonato la sicurezza del grembo, vedono comunque nell'evento della nascita la straordinaria bellezza di un'avventura che inizia. L'avventura della vita con le sue ferite, indubbiamente, ma anche con le sue gioie. Noi siamo "natali" prima d'essere "mortali"».

Nella sua dissertazione in occasione del premio, lei cita Umberto Eco e l'immagine della «nebbia» come metafora della dialettica tra morte e vita. Mi viene in mente la poesia con lo stesso titolo di Giovanni Pascoli che naturalmente parla solo di morte...

«Umberto Eco, che proveniva da zone nebbiose, affermava che l'inoltrarsi nella nebbia rappresenta l'illusione insieme fascinosa e inquietante di tornare allo stato prenatale, all'utero protettivo. Di eludere, per un momento, la morte. Con il paradosso che l'uscire dalla nebbia alla luce (venire alla luce come il nascere) annulla ben presto quella momentanea "felicità amniotica"».

Nascere è sempre rinascere. Maria Zambrano parla anche di «disnascere» . Cosa significa?

«Non cristallizzarsi. L'adolescente deve deporre la propria adolescenza per diventare giovane e questo vale per tutte le altre età della vita. Chi si blocca e "non disnasce" non potrà mai rinascere e scoprire la sorpresa che ogni età e ogni stato o situazione diversi gli riservano. E già morto, pur vivendo».



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