Donne con le gonne? Ma fatemi il piacere, volete mettere le donne con le pinne? Creature fantastiche, che da sempre abitano il nostro immaginario, seduttrici per antonomasia, busto da fanciulle in fiore e coda di pesce: sono le sirene. E giocoforza partire da Ulisse, citare la copiosa tradizione figurativa, musicale e letteraria che le ha eternate (Kafka in un racconto afferma di non sopportare il loro silenzio), passare anche da Copenhagen.
E non dimenticherei Daryl Hannah, sirena a Manhattan in Splash (1984) santino erotico che ha turbato i sogni di una generazione, mentre poco prima era stata la bambola replicante letale di Blade Runner (1982) in attesa di diventare la perfida Elle Driver di Kill Bill.
Figure mitologiche, certo, le sirene, ma non pensate di liquidarle così in fretta, come se fossero favole. I miti raccontano verità travestite. Elisabetta Moro, professore ordinario di Antropologia Culturale presso l'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, le studia da anni, le sirene, e martedì 11 giugno verrà a San Paolo, nella chiesa di santa Maria Assunta (via Mazzini), nell'ambito del Festival Filosofi lungo l'Oglio, per parlare sul tema: «Generare città. Il mito delle sirene». Qual è il nesso? Lasciamo la parola a lei.
«Al di là delle malie e delle suggestioni - spiega Elisabetta Moro - le sirene sono state fondatrici di città. Caso clamoroso è quello di Napoli, fondata secondo la leggenda da Partenope, proprio una delle sirene che partecipano all'incontro con Ulisse nell'Odissea. Come sappiamo Ulisse si fa legare all'albero maestro della nave per non soccombere alloro canto irresistibile che è causa di rovina. È uno dei pochi casi di sopravvivenza. Ma cosa accadeva alle sirene che non riuscivano a portare a termine la loro mission? Si suicidavano. Le sirene sconfitte da Ulisse si gettano in mare, muoiono e le loro salme vengono trasportate della corrente. Partenope si spiaggia dove oggi si trova Castel dell'Ovo. Il suo corpo è oggetto di culto, da lì nasce l'insediamento di Neapolis. Oggi i napoletani si chiamano partenopei. Nel Mediterraneo ci sono altri casi di sirene fondatrici di città».
Le sirene in Omero sono l'emblema del pericolo, dello sviamento. Immaginiamo che rappresentino però anche altri valori, più positivi.
«Nel mondo antico custodivano la soglia tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Incontrarle significava oltrepassare il limite della vita. Ma le sirene erano addette anche a consolare i vivi per la sparizione dei defunti. Una funzione importante la loro, ovvero quella della lamentazione (le prezzolate del pianto della tradizione mediterranea), perché faceva sì, secondo la credenza, che il defunto se ne andasse serenamente. Ma non solo. Le sirene erano figure femminili sapienti, sapevano tutto del presente - passato - futuro, erano profetiche, per questo erano attraenti. Per il mondo antico non erano certo sexy come le immaginiamo noi oggi dopo tanti film e serie tv. In origine erano donne-uccello prima ancora che donne-pesce, dunque tutt'altro che belle. Il loro fascino era costituito dal canto, dalla voce».
Esseri anfibi, a metà tra l'umano e l'animale.
«Un ibrido, le sirene rappresentano la doppiezza che è dentro qualsiasi persona, a ben guardare la cosa più temuta, perché enigmatica e profonda, incontrollabile, il non umano. La cosa che unisce i due lembi di natura e cultura, quella zona misteriosa su cui noi proiettiamo desideri, incubi e passioni».
D'accordo. Ma appunto perché fondatrici di città, le sirene ci dicono che chi vuole, non dico fondare (eventualità sempre più rara), ma rigenerare le città, deve saldare due parti, due opposti?
«Indicano la possibilità di tenere insieme, quanto più armoniosamente, la diversità, il centro e la periferia, il braccio e la mente. La loro seduzione viene proprio da questo: non appartengono al genere umano ma ci aiutano a capire cosa siamo. Anche noi in fondo siamo ibridi».