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Domenica, 03 Marzo 2019 01:22

"Eppure soltanto l'arte ci avvicina all'infinito" - intervista a Sergio Givone

il filosofo Sergio Givone il filosofo Sergio Givone

Sergio Givone. Il filosofo: «Scienza e tecnica non riescono a esaurire il mistero dell'esistenza, non ci fanno cogliere un nuovo mondo dietro la superficie del mondo»

Non solo nelle chiese, ma anche enplen air si può avere la conferma che l'arte ha intrattenuto, per millenni, una profonda complicità con la religione: basta recarsi in Val Camonica, per ammirare l'antichissima rappresentazione di uno «sciamano che corre» su una roccia di Capo di Ponte o, a Sonico, l'immagine di un idolo con le sembianze di un bambino in fasce. Sembrerebbe tuttavia che in epoca recente il rapporto tral'arte e il sacro si sia allentato: in certi casi, anzi, la dimensione religiosa pare irrisa da artisti contemporanei come Jeff Koons, che assemblando dei palloncini di metallo scimmiottale «veneri paleolitiche», o Giuseppe Veneziano, che in Mc Emmaus ritrae Gesù mentrebenedice delle patatine fritte e un panino con l'hamburger.

A Sergio Givone, docente emerito di Estetica all'Università di Firenze, saggista e romanziere, domandiamo se davvero è venuto meno un tradizionale rapporto dì servizio dell'arte alla religione.

«Prima ancora che al suo servizio, per moltissimo tempo l'arte è stata tutt'uno con la religione. Non c'è esperienza religiosa che fin dai suoi inizi non si sia espressa artisticamente nella danza, nella musica, nella pittura, nell'architettura. Da qui dobbiamo partire, da questa connessione originaria. In seguito, è avvenuto quello a cui lei accennava: l'arte si è progressivamente emancipata dalla religione, si è creata uno spazio proprio. In certi casi, il contenuto poteva essere ancora il medesimo: portati sulla scena di un teatro, tuttavia, i racconti relativi alle divinità acquisivano un significato nuovo; lo spettatore poteva esserne affascinato, ma non era più tenuto aprestare fede alle vicende ora rappresentate. Nel tempo, questa secolarizzazione dell'arte è sfociata talvolta in un atteggiamento esplicitamente irreligioso, addirittura di derisione delle antiche credenze e riti. Tuttavia, l'"oltrepassamento" del religioso spesso non mira a liberarsene, ma a riscoprime lo strato più profondo, liberandolo dalle incrostazioni. Siva in cerca di un gesto "assoluto", davvero capace di restituire una profondità di campo allo sguardo che noi rivolgiamo al mondo».

Dunque, non è vero che la secolarizzazione tenda ad abolire la questione del senso? Che l'arte contemporanea si limiti a giocare con la «superficie» delle cose?

«In linea di massima, vale esattamente il contrario: si va in cerca di un senso non ancora sperimentato. Lei ricordava le opere irriverenti di Koons, come esempio di un'arte che, emancipandosi dal sacro, tenderebbe sempre più a mondanizzarsi. Esiste però anche un movimento di segno contrario: pensiamo ai Cretti di Alberto Burri, agli squarci nelle tele di Lucio Fontana, alle sgocciolature di Jackson Pollock o alle campiture di MarkRothko. La tensione ascetica, lavolontà di spogliarsi di sé per raggiungere l'essenziale qui è esplicita. Viene in mente la Melencolia I di Albrecht Diirer, con l'immagine di una donna-angelo ai cui piedi giacciono abbandonati degli strumenti di lavoro, come se fossero ormai inutilizzabili; eppure gli occhi di lei, per quanto tristi, sono levati, quasi in attesa di una nuova, possibile epifania del sacro».

Ancora riguardo alla secolarizzazione delle arti: il filosofo Walter Benjamin, ne11936, descriveva una trasformazione dello statuto stesso dell'opera artistica; questa, una volta riprodotta in facsimile o in fotografia, perderebbe l'«aura», l'alone sacrale che la circondava precedentemente. Oggi, chiunque può appendere in casa una copia delle «Iris» di Van Gogh od ordinare in Internet una t-shirt con l'immagine della «Gioconda»: stiamo andando verso una democratizzazione del bello o verso la dittatura del kitsch?

«Benjamin sosteneva appunto che con la possibilità di duplicare le opere e poi, più radicalmente, con l'avvento della fotografia e del cinema, si sarebbe verificato un ulteriore processo di secolarizzazione, questavolta per così dire dell'arte nei riguardi di se stessa. Così facendo, l'arte tende a configurarsi per molti come una modalità privilegiata di riappropriazione del mondo. Questo è, oggi, il cinema: il film non è più un'opera separata dal fruitore, che lapotrebbe solo osservare dall'esterno, mantenendo una doverosa distanza. Pur restando seduti in una sala cinematografica, noi "entriamo" in ciò che viene proiettato: camminiamo, corriamo, prendiamo parte a un inseguimento in auto insieme ai personaggi. Lei mi domanda se ciò che Benjamin chiamava "riproducibilità tecnica dell'opera d'arte" comporti un appiattimento del gusto, un ottundimento della sensibilitàgenerale. Io non lo credo. Parlerei non di un appiattimento, ma di un allargamento del gusto, nel senso che la fruizione delle opere artistiche non è più riservata ai membri delle corti principesche, né alle classi abbienti. Certo, può succedere ma non è inevitabile che la volgarità prevalga, che finiscaper piacere solo ciò "che piace a tutti". D'altra parte, mediante le arti moltissime persone hanno l'opportunità di considerare il mondo e loro stesse da prospettive inedite; possono fare i conti con aspetti della realtà e della loro soggettività un tempo inaccessibili».

Il «Nudo rosso» di Modigliani è stato aggiudicato a un'asta per 170 milioni di dollari e una serigrafia di Andy Warhol per 105 milioni: l'opera d'arte è l'unica realtà a cui attualmente tutti, quasi senza eccezioni, attribuiscano un valore «assoluto»?

«Direi di sì, non solo dal punto di vista economico: questo valore lo riconosce anche chi magari non è disposto a stare due ore in coda, al freddo, per vedere il David di Michelangelo nella Galleria dell'Accademia a Firenze. L'arte è ancora lì, adirci che la condizione umana costituisce un enigma; che la scienza e la tecnica possono certamente rendere la terra più abitabile, ma non esauriscono il mistero dell'esistenza. Nella risignificazione artistica, anche l'oggetto più usuale pensiamo di nuovo a Warhol, con il famoso barattolo della Campbell's Soup può farci capire che dietro il mondo dellabanalità, della ripetizione seriale, del "risaputo" si nasconde un altro mondo. Proprio per questo, come già ho detto, non esiterei ad attribuire all'arte una vocazione religiosa».

Quali possibilità espressive ha, oggi, l'arte sacra cristiana? È ormai un luogo comune, che molte chiese di recente costruzione siano «brutte».

«In primo luogo, bisognerebbe che la fede cristiana tornasse a essere una cosa viva, una cosa vera, alla quale ci si possa appassionare. Laquestione del livello mediocre di molta arte sacra del nostro tempo non può essere risolta elaborando un prontuario di regole a cui i pittori, gli scultori e gli architetti, oltre che i committenti, dovrebbero attenersi. Penso piuttosto che competa al cristianesimo di liberarsi da uno stato presente di offuscamento, tornando ad affascinare gli esseri umani e, tra loro, gli artisti».



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