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Giovedì, 13 Settembre 2018 23:36

La stagione dei Festival cercando una bussola

Festival letteratura a Mantova Festival letteratura a Mantova

A Pordenone si legge, a Modena si fa filosofia, a Brescia le parole si intrecciano con la musica. A Sarzana s'è usata la mente, a Camogli s'è fatta comunicazione. Cinema a Venezia, cori e danze tra Milano e Torino, geopolitica a Ferrara. È la grande stagione dei festival, tramonti, spiagge e città d'arte, dall'uno all'altro mar.

Quando Mantova, 22 anni fa, lanciò il Festival della letteratura, le manifestazioni del genere si contavano sulle dita delle mani. Oggi si numerano a centinaia. Tanti, troppi? Eppure Mantova, che ha appena chiuso i battenti, ha raccolto oltre 120mila persone in quattro giorni. La partecipazione non cala, si moltiplicano temi e occasioni: a Milano è Tempo delle donne, e a Padova ci si prepara al festival dell'occulto. Anche dalle nostre parti la stagione è favorevole: dalle X Giornate al Rinascimento culturale, da Librixia alla Microeditoria, alla lunga serie di Un Libro per piacere, mentre non s'è ancora spenta l'eco dei Filosofi lungo l'Oglio.

Sono tutte manifestazioni di livello elevato, raccolgono consenso e quasi sempre superano i confini della nostra provincia. Quelli che non hanno mai amato il genere, ma anche voci autorevoli, stanno iniziando a dire che l'abbuffata d'autunno smorza la forza dei festival. Troppa carne al fuoco, sostiene chi fa notare come a Sarzana ci sono stati 63 eventi in tre giorni, e che il catalogo degli appuntamenti di Mantova riempiva 82 pagine, anche se il numero degli incontri era stato «ridotto» a 204.

C'è anche chi sottolinea la stridente frattura fra la ressa per assistere ad una chiacchierata con l'autore di passaggio e il numero dei libri che poi vengono comperati. Sempre pochi. In Italia basta vendere seimila copie d'un romanzo per essere nei primi tre posti in classifica. Lo rileva un'impietosa fotografia della situazione recente nelle librerie e delle vendite onlinc: gli italiani non leggono perché spesso non lo sanno fare. Non manca poi chi entra nel merito delle proposte, spiegando che non pochi festival fioriscono intercettando i «book tour» organizzati dalle case editrici, e ironizza sulla ritualità dei pomeriggi e delle serate, con le estenuanti introduzioni e le rapide domande finali, quasi mai originali.



Un intervento sul tema definiva il «tempo dei festival» come «il rito transumante che compie il pachiderma dell'alfabetizzazione per andare a morire nel cimitero dell'evento». Eppure, anche se tutto questo fosse vero, il fenomeno dei festival meriterebbe d'essere difeso ad oltranza. Nel deserto di idee che circonda i nostri giorni, nella povertà di linguaggio e di ragionamenti, nella deriva che pone vaghe opinioni allo stesso livello di ricerca e scienza, ogni opportunità di sentire un'argomentazione articolata senza che qualcuno si metta a battibeccare o a insultare, va vista come una benedizione del cielo. Si incontrano persone che fanno comunità sedendosi una accanto all'altra, non cliccando su uno smartphone. Sarà per questo che qualche forza politica non solo la Lega, che in un paio di occasioni si è esposta nel criticare questa «moda di sinistra» li guarda con sospetto e insofferenza.

Il valore della semina diffusa di ragionamenti e di idee lo si può forse cogliere andando ad attingere a due tra le molte rassegne in cartellone. Nei giorni scorsi, in Piemonte, nel monastero di Bose, s'è parlato a lungo del «discernimento», un concetto desueto, anche se più volte invocato da papa Francesco. Enzo Bianchi, fondatore di quella comunità, spiega che il discernimento è «l'arte della scelta». Richiamandosi ai Padri della Chiesa, s'è ragionato a lungo sul come giungere a «distinguere correttamente» e avere «criteri per giudicare». Per concludere che lo si può fare solo basandosi su valori e principi.

La riflessione fa eco ad un altro simposio, che si teneva poco distante, d'impronta tutta laica nonostante il marchio, «Torino Spiritualità». L'appuntamento, organizzato dal mitico Circolo di lettori, s'ispirava a Melville e al suo scrivano Bartleby, che a quanto non lo convince, oppone un garbato e ferreo «preferisco di no». Enzo Bianchi si dice convinto che «l'arte della scelta si fa urgente oggi per la società intera... in un epoca di grandi incertezze che spesso paralizzano le scelte umane, rendono gli uomini e le donne spettatori di un vivere che non appartiene loro e di una complessità che non sanno padroneggiare».

Interrogarsi, confrontare, vagliare e poi imboccare la propria strada. Magari per dire: «No». Non sempre espressione di paura o di ribellione, più spesso i «no» uniscono e aiutano a crescere. Questo, alfine, cerca chi va ai festival: qualche bussola che orienti le nostre giornate. Mantova, Ferrara, Sarzana, Brescia... E da Bose l'invito al «discernimento»



Le Video lezioni

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