Cioè l'uomo. E dell' «insocievole socievolezza» che lo caratterizza. Tema perfettamente in sintonia con il filo rosso del «Condividere» sotteso alla tredicesima edizione del festival «Filosofi lungo l'Oglio», rassegna diretta da Francesca Nodari, dov'è ormai un habitué; al tempo stesso, un tema estremamente ampio e stratificato, che il filosofo veneziano durante la sua lectio magistralis ha indagato e approfondito.
Dai greci ai romani, «per costruire una società servono uomini che si uniscono attorno a un fine comune». La polis, la città, è dunque consequenziale, «qualcosa di necessario ma non il fine ultimo, perché il fine ultimo dell'uomo è il sapere, il conoscere». Un paradosso che sottolineava Kant, prima ancora Aristotele, quindi - in frammenti dall'excursus delineato da Cacciari - anche Machiavelli, Hobbes, Spinoza. Legato a stretto contatto alla «societas», intesa non solo come concetto «egoistico» in cui trovare sicurezza nel perseguimento dei propri interessi, ma anche, secondo Cacciari, come «una pluralità di persone che provano non soltanto sentimenti amari... perché non può esserci sicurezza e quindi felicità in un mondo che è un inferno».
Dopo aver restituito al mittente l'ipotesi di «società liquida» - «liquida de che... Io non voglio liquidare, voglio consistere, dare forma alla mia persona e alle mie passioni in modo che si convertano al bene mio, che è correlato al bene altrui. Perché finché sarò attorniato da persone infelici saro minacciato anch'io» - Cacciari ha esortato: «Cominciamo a detestare termini come 'massa' o 'popolo', vogliamo essere persone.
Più vogliamo sicurezza, più ci conviene organizzarci: è questo il grande senso della filosofia politica contemporanea». Eccolo dunque l'animale impolitico: «Realismo antropologico alla base, recupero di una visione personalistica, della persona e delle sue passioni, quelle che ci daranno maggiore sicurezza. Insocievoli sì, dunque, ma la nostra natura ci permette di decidere fra l'una e l'altra prospettiva».